Alimentazione dalla A alla Z

Parliamo delle varietà zucchero bianco e zucchero grezzo, infine di zucchero di canna.
Sia quello bianco che integrale contengono saccarosio, con la differenza che quello integrale contiene qualche residuo di melassa che gli conferisce un aroma diverso. Altra differenza è il contenuto di minerali e vitamine nei due tipi di zuccheri: quello integrale è ricco in calcio, fosforo, potassio, magnesio: in 100 grammi ci sono circa 3000 mg di minerali. Lo zucchero bianco nel processo di raffinazione perde questo patrimonio e il valore scende a 30 mg per 100 g di sostanza.
Da dove proviene lo zucchero? La spremitura della canna da zucchero genera un succo, un’altra fonte è costituita dalla barbabietola da zucchero.Questo succo subisce un primo processo depurativo con la calce, che fa perdere alcuni minerali e vitamine. Il processo continua con altri passaggi come la solfitazione e la carbonazione che fa concentrare e cristallizzare lo zucchero.
Se ci si ferma a questo livello abbiamo lo zucchero grezzo, procedendo con la decolorazione e cristallizzazione arriviamo allo zucchero bianco.
Lo zucchero da canna deriva appunto dalla canna da zucchero, viene sottoposto al passaggio con la calce e filtrato. Dopo centrifugazione si separa la parte solida da quella liquida densa, la melassa. Rispetto allo zucchero tradizionale, quello di canna contiene una percentuale inferiore di saccarosio e qualche caloria in meno (100 g= 350 kcal circa contro 390 dello zucchero bianco). Come lo si distingue da quello grezzo?
Non per il colore, che è bruno-marroncino, ma per le caratteristiche dei grani, che se uniformi e regolari, appartengono allo zucchero grezzo, se invece ci sono dei cristalli a grandezza variabile con sfumature scure diverse, allora ci troviamo di fronte allo zucchero integrale.

Il nome deriva dal colore verde anche se la verdura non è solo verde. Nella categoria verdura molti inseriscono tutti i legumi, in realtà li escluderei, considerando invece come verdura quella a foglia verde, a fiore, a fusto, a bulbo, a radice, a tubero, a baccello, a frutto.
La verdura a foglia comprende tutti i vegetali a foglia verde come lattuga, soncino, cicoria, rucola, prezzemolo, basilico e altre erbe aromatiche, tarassaco, spinaci, tanto per citare quelle più famose. Tra la verdura a fiore troviamo ad esempio zucchine, carciofi, broccoli, cavolfiori, cime di rapa. La verdura a fusto può essere verde come il cardo mariano o bianca come il finocchio e il sedano. La verdura a bulbo comprende cipolla, aglio, scalogno; quella a radice carota, rapanello, rafano, zenzero mentre in quella a bulbo troviamo il topinambur, in quella a baccello i fagiolini e le fave, infine nella verdura a frutto ritroviamo pomodori, cetrioli, zucca e zucchine, melanzane e peperoni.
Quali sono le caratteristiche comuni?
Tutte sono molto ricche in acqua, che può arrivare anche a percentuali altissime, fino al 95%, quindi contribuiscono a ridurre il rischio di disidratazione. La verdura è anche ricca in fibra, soprattutto insolubile. Questo fa sì che ci sia un valido aiuto per l’intestino pigro, che così svolge la propria azione fisiologica in maniera corretta e senza sforzo.
La verdura tiene sotto controllo i batteri che nel colon sono responsabili della produzione di gas. Come la frutta è un potente de-acidificante. il suo apporto energetico è scarso, ha una quota di carboidrati semplici, è povera di grassi e di proteine, ma è ricca in vitamine A, E, K, C, in minerali come potassio, magnesio, zinco, selenio, in carotenoidi come la luteina ed in flavonoidi, potenti antiossidanti.
Parlando di luteina, questa è un carotenoide importante per la retina e qundi per la visione. Spinaci, bietole, cicoria, rucola, radicchio, basilico e prezzemolo, ma anche i peperoni secchi sono molto ricchi di questo preziosissimo componente. Altri carotenoidi importanti sono ad esempio il licopene, presente nei pomodori, il beta-carotene che è invece nelle carote.
Anche la verdura, come la frutta, deve essere di stagione. Durante tutto l'anno troviamo bietole, cicoria, carote e sedani ma ad esempio fagiolini, rucola, pomodori, fave, melanzane e peperoni solo nei mesi centrali (maggio-settembre); finocchi, spinaci e zucca nei mesi autunnali e invernali. Zucchine e cetrioli sono solo estivi.
Per gioco dividiamo le verdure in base al colore e vediamo le caratteristiche peculiari di ciascun gruppo.
- Colore giallo-arancio, come carote, peperoni, zucca. Sono ricchi in flavonoidi, carotenoidi e vitamina C, quindi molto anti-ossidanti. E’ bene ricordare che gli anti-ossidanti impediscono ai radicali liberi di aggredire il DNA, riescono a neutralizzarli prima che le cellule vengano modificate.
- Colore rosso, come peperoni, pomodori, rape e barbabietole, tutti ricchi in licopene. Anche il licopene è un anti ossidante dotato di proprietà anti radicale e anti degenerativo.
- Colore bianco come aglio, cipolla, finocchio, porro, sedano. Hanno polifenoli e flavonoidi, ma anche vitamina C, selenio, potassio. L’aglio in particolare con l’allicina abbassa il colesterolo e la pressione arteriosa.
- Colore blu-viola, come le melanzane, radicchio hanno vitamina C, magnesio, potassio e carotenoidi.
- Colore verde, sono ricchi in clorofilla ma anche in carotenoidi, acido folico, luteina, vitamina C. La clorofilla ha la capacità di stimolare la produzione di emoglobina e globuli rossi e può dare sollievo quando ci sono flussi mestruali molto abbondanti.
Una ultima considerazione è sulla famiglia delle Solanacee, cui appartengono pomodori, melanzane, peperoni e patate. Queste verdure hanno la solanina, che è una sostanza utile per la difesa naturale da insetti e funghi. I suoi valori si riducono con la cottura e la sua presenza in concentrazione alta è denunciata dal colore verde. Le patate, se germogliano, hanno una elevata concentrazione di solanina. Nell’essere umano la solanina è responsabile di allergie o intolleranze: per questo motivo se ad alte concentrazioni diventa tossico per l’uomo, causando sonnolenza e irritazione della mucosa gastrica, mente è sconsigliato in gravidanza o in allattamento.
Ricordo però che la solanina diminuisce in maniera considerevole se la verdura è matura oppure se è cotta, un motivo in più per evitare di consumare questi vegetali fuori stagione.

L’uovo è un alimento prezioso e nutriente, contiene in poco spazio tutti i principi nutritivi indispensabili per generare una vita e farla crescere.
Parlando dell’uovo intero, quindi albume e tuorlo, è la migliore fonte proteica per l’uomo, in quanto ha tutti gli aminoacidi essenziali, quelli che l’essere umano non riesce a sintetizzare da solo. Queste proteine ad alto valore biologico servono come utili mattoncini a costruire i muscoli, a rallentare la perdita dell'attività muscolare. Queste proteine infine aiutano il sistema immunitario a funzionare correttamente.
L’uovo è ricco in vitamine del gruppo A, B, D. Contiene colina, cibo per le cellule cerebrali. La colina è indispensabile per il corretto metabolismo dei grassi ed è la componente dell'acetilcolina, un neurotrasmettitore. La colina riduce l’assorbimento del colesterolo e protegge il fegato dall’accumulo dei grassi. L’uovo contiene anche minerali come ferro, fosforo, calcio e selenio.
Protegge gli occhi perché ha nella sua composizione dei carotenoidi; la betaina riduce invece l’omocisteinemia, responsabile delle malattie cardiocircolatorie e cronico-degenerative. E’ un alimento completo a fronte di sole 150 calorie, equivalenti a 4 biscotti frollini integrali, ricordando che per questi ultimi la componente carboidrato/grasso è preponderante.
I detrattori hanno detto che l’uovo non può essere consumato da chi ha il colesterolo alto. Niente di più sbagliato evitare questo alimento completo per paura di aumentare il colesterolo. E’ sì vero che un uovo medio contiene circa 200 mg di colesterolo, ma è anche vero che l’uovo ha molti preziosi componenti, come la lecitina che contrasta proprio l’ipercolesterolemia e riduce l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, e poi è da tenere ben presente che il colesterolo introdotto nel corpo con la dieta incide poco sul livello totale nel sangue, visto che è preponderante quello endogeno, cioè prodotto nel fegato. In chi assume poco colesterolo con la dieta è il fegato a compensare questa mancanza con un aumento della produzione di colesterolo con le risorse interne. I grassi contenuti nelle uova sono circa l'11% della massa totale, sia mono che polinsaturi.
Altra credenza da contrastare è che faccia male al fegato e che ostacoli la digestione. E’ vero che l’uovo aumenta la contrattilità della colecisti ma il fegato non soffre, anzi proprio per le sostanze che sono contenute nell’uovo è correttamente nutrito. La digeribilità dipende anche dalla cottura: alla coque l’uovo si digerisce in circa un’ora e mezza, il tempo sale se l’uovo invece viene consumato sodo (raddoppia) o peggio fritto con olio o burro.; altri alimenti di natura proteico-animale, come ad esempio la carne, hanno tempi di digestione più lunghi rispetto all’uovo.

Le tisane sono preparazioni dette 'idroliti', quindi acquose, che derivano da una o più droghe vegetali. Le sostanze medicamentose vengono estratte dall’acqua calda, ma anche tiepida, ed hanno come fine un'attività salutistica e medicamentosa. In generale le tisane aiutano a disintossicare l’organismo e ad eliminare tossine e veleni. Grazie al liquido tiepido agiscono come un toccasana nei disordini intestinali, calmando un intestino agitato. Nella scelta delle tisane sarebbe meglio utilizzare le erbe fornite da un'erboristeria piuttosto che le bustine preconfezionate dalla grande distribuzione, dove i principi attivi sono meno concentrati e quindi meno potenti.
E’ opportuno differenziare le tisane dai decotti e dagli infusi per la diversa modalità di preparazione. Le tisane sono in genere fatte con parti della pianta tenere e legnose, e lasciate in infusione in genere non oltre i 5 minuti; gli infusi utilizzano solo le parti tenere di foglie e fiori, con un tempo di infusione maggiore di 5 minuti, solitamente 8-10. I decotti si preparano infine facendo bollire le erbe per qualche minuto e lasciando riposare per almeno un’ora l’acqua con le erbe, per poi filtrare e consumare.
A seconda delle erbe impiegate possiamo avere diverse attività terapeutiche. Nel caso dell’apparato digestivo si può migliorare la digestione, oppure ottenere un effetto lassativo o anti-diarroico.
Le migliori erbe digestive sono finocchio, anice, zenzero, genziana, menta e tarassaco. Il finocchio, come vegetale, può essere anche consumato a fine pasto proprio per favorire una buona digestione. I suoi semi hanno una funzione di assorbimento dei gonfiori addominali causati dal gas formatosi nel colon - un tratto dell’intestino. Il finocchio depura ed ha attività diuretica. Il metodo migliore di preparazione oltre all’infusione è anche il decotto.
L’anice, spesso usato per preparare un delizioso liquore digestivo, ha delle proprietà rilassanti la mucosa intestinale, aiutando a eliminare i fastidiosi crampi. L’anice è perfetto dopo un pasto abbondante: velocemente elimina la fastidiosa sensazione di riempimento.
Anche la genziana, con il suo gusto amarognolo, è utilizzata come liquore digestivo. Attenzione a non esagerare, perché il sovradosaggio può dare vomito e cefalea.
Le tisane contro la diarrea sfruttano l’azione astringente delle erbe ricche in tannini come l’acacia, il mirtillo, la agrimonia; anche la malva e il tè nero sono erbe che possono servire per reidratare l’organismo e come coadiuvanti nella cura della diarrea.

Il seme non è altro che una pianta in embrione ed è la base della catena alimentare. Il seme è un alimento di elevata qualità, ricco in nutrienti perché il seme è un elemento vivo. Essendo vivo è necessario consumarlo crudo, perché altrimenti si perdono le vitamine, i minerali e gli oli essenziali che contiene. Anche la tostatura è da evitare, ma il seme si può macinare e polverizzare dove si vuole, soprattutto quelli più duri i cui principi attivi altrimenti non verrebbero assimilati. I semi sono anche una ricca fonte di fibra naturale e di acidi grassi essenziali sia del tipo omega-6 che omega-3. Non dimentichiamo inoltre che i semi sono un'ottima fonte di proteine (circa il 20%).
I semi di zucca sono ricchi in minerali e poveri in grassi saturi e zuccheri, quindi possono costituire uno spuntino salutare, soprattutto essendo ricchi in magnesio, un quarto di tazza è quasi la metà della quantità giornaliera di questo oligoelemento. Oltre al magnesio troviamo molta vitamina B, fosforo, ferro e zinco, fitosteroli, utili come antiradicali liberi. Il magnesio è indispensabile per controllare la pressione sanguigna ma anche per proteggere i vasi e il cuore.
Alcuni studi indicano come i semi di zucca siano anche dei regolatori della secrezione di insulina ed inoltre contengono il triptofano, amminoacido che aiuta, attraverso la conversione in serotonina e melatonina, a migliorare la qualità del sonno ed anche il tono dell’umore.
Fornendo un consistente apporto di omega-3 aiutano a ridurre la componente infiammatoria e contrastano le malattie in cui questa componente è più accentuata. Importante è acquistare e consumare i semi entro 2-3 mesi per sfruttare la loro freschezza. Si possono aggiungere a piatti salati, a insalate o a secondi piatti proteici.
I semi di sesamo sono altrettanto ricchi in preziose sostanze, in particolare di acidi grassi monoinsaturi, cioè quelli che aiutano il controllo del colesterolo. Contengono sesamolo, un composto anti-ossidante, vitamina B e acido folico (utile in gravidanza). Come minerali rame (un quarto di tazza fornisce i 2/3 del fabbisogno giornaliero), magnesio e calcio. Quindi se si vuole proteggere ossa, denti, avere una produzione enzimatica e ormonale corretta, avere globuli rossi a posto, questi semi fanno al caso nostro. Il rame esercita un'azione su collagene ed elastina, costituenti importanti per il nostro corpo, perché danno struttura ed elasticità, inoltre mantiene efficiente il sistema immunitario. I semi di sesamo sono usati sia in polvere che interi in cucina e costituiscono il Gomasio, che altro non è che semi di sesamo macinati e tostati con l’aggiunta di sale e olio.
I semi di lino sono la fonte più ricca in omega-3. Si possono consumare tritati oppure se ne può consumare l'olio come condimento.
Sono ricchissimi di anti-ossidanti di qualità, i lignani, che assieme agli omega-3 agiscono come antinfiammatori, quindi hanno una azione preventiva sulla formazione della placca. I lignani sono ricchi in fitoestrogeni quindi di aiuto nei disturbi mestruali e menopausali e aiutano la funzione intestinale, essendo ricchi in fibra.
E’ meglio consumare il seme di lino tritato o l’olio di semi di lino?
Una componente oleosa può agire anche come sfiammante di parete in un intestino irritato, ha sicuramente un potere lassativo, aiuta capelli e unghie nella crescita e dà in generale un aiuto per il trofismo cutaneo. Unico handicap il gusto, non sempre gradito e poco palatabile e anche la sua conservazione, perché irrancidisce velocemente e deve essere conservato nel frigorifero.
I semi di girasole sono molto ricchi di anti-ossidanti e di omega-6, vitamina E (anch’essa anti-ossidante) e B, oltre che di minerali. Inoltre sono fonti di acido folico. Hanno anche fibra e assieme all’insalata o ai cereali assicurano anche un controllo della glicemia.
I semi di papavero vengono utilizzati sia nella preparazione di prodotti da forno che come condimento in cucina. Derivano dal papavero ma non hanno potere allucinogeno o ipnogeno perché contengono morfina e codeina in quantità trascurabili. Sono ricchi in acidi grassi mono-insaturi e omega-6, fibre, vitamina B, rame, potassio e calcio. Nella varietà bianca sono tra le spezie che compongono il curry.
I semi di miglio, considerati mangime per uccelli, in realtà hanno proprietà energizzanti, sono senza glutine e si cuociono velocemente in acqua.
Aiutano l’intestino pigro e stimolano la crescita e lo sviluppo dei batteri intestinali con azione probiotica. Sono anti-radicali liberi, ricchi in calcio ed in magnesio quindi anche cardioprotettivi. Chi soffre di calcoli biliari può giovarsi del consumo di miglio proprio per l’alta percentuale di fibre insolubili che riducono la formazione degli acidi biliari.
Tra gli altri semi, quelli di Chia sono ricchi in antiossidanti, proteine, omega-3, fibra, minerali e proteine e sono privi di glutine. Hanno un gusto delicato e si possono usare così come sono oppure mettendoli in ammollo in acqua, ove si trasformano in una sostanza gelatinosa che aiuta a non assorbire gli zuccheri in eccesso. Immersi in acqua aumentano notevolmente il loro volume, quindi aiutano a raggiungere un precoce senso di sazietà.
Come possibile controindicazione dei semi vi sono il costo, non proprio contenuto soprattutto se bio, qualche possibile allergia e talvolta un aumento dei gas intestinali, con una sensazione di gonfiore dopo il loro consumo.

Il riso fa parte della famiglia dei cereali. In Italia la coltivazione conta almeno una cinquantina di tipi diversi, catalogabili a seconda della forma (chicco lungo o corto), dimensione (chicco grande o piccolo) e contenuto (integrale, parboiled, cioè precotto al vapore in cui i principi nutritivi vengono conservati intatti e sono in quantità maggiore rispetto al comune riso bianco, brillato, cioè sottoposto a sbiancatura, lucidatura e successiva brillatura); nel mondo esistono molte altre varietà.
In Italia possiamo acquistare le seguenti:
- Varietà riso comune, caratterizzata da chicchi piccoli e tondi che richiedono una cottura di 12-13 minuti
- Varietà riso semi-fino, con chicchi toni di media grandezza, con cottura 13/15 minuti
- Varietà riso fino con chicchi affusolati e cottura 14/16 minuti
- Varietà riso superfino con chicchi grossi e più lunghi, con cottura 16/18 minuti (come ad esempio l’Arborio o il Carnaroli).
Esiste poi il riso Venere, che è un riso integrale che mantiene nel chicco la fibra grezza. Rispetto al riso brillato assicura un più basso indice glicemico, quindi fa innalzare la glicemia meno velocemente, inoltre fornisce sali minerali, come selenio, zinco, ferro, manganese e contiene antiossidanti come le antocianine che gli conferiscono il colore scuro e infine vitamine del gruppo B.
Un altro tipo di riso oggi molto di moda anche se è di origine non Italica è il riso basmati.E’ una varietà a grano lungo con gusto delicato utilizzata dagli orientali come pane, non è la scelta ottimale per cucinare un risotto ma si sposa bene a carne, pesce o legumi. Tra tutte le varietà di riso è quella con meno grassi.
Venendo ai valori nutrizionali, in genere il riso classico fornisce 358 calorie per 100 g, di cui 6.5% di proteine, ha molti minerali come ferro, selenio, rame e zinco, per citare i più rappresentati e vitamine del gruppo B. Il riso Venere a fronte di 15 calorie in più fornisce il 10% di proteine, oltre a una sostanziosa quota di vitamine e minerali. Le proprietà nutrizionali del riso ci dicono che è estremamente digeribile ed è un regolatore della flora batterica intestinale, ricco in potassio e povero di sodio: è l’alimento ideale per chi soffre di ipertensione o di ritenzione idrica. Non ha glutine, quindi può essere consumato da chi ha la malattia celiaca o anche una intolleranza al glutine.
Nelle persone affette da stitichezza è da preferire la varietà integrale. Anche a chi ha problemi di funzionalità renale il riso offre un aiuto proprio per questa sua estrema digeribilità e il contenuto proteico non eccessivo .
L’indice glicemico varia a seconda della qualità, ad esempio per l’Arborio è attorno al valore 70, ma può arrivare anche a valori più alti.
Quali differenze rispetto alla pasta? La pasta contiene più proteine, il riso più amido, quindi quest’ultimo durante la cottura assorbe più acqua fino a triplicarne il peso, quindi è meno calorico e più saziante ma con minore quantità, partendo dal peso a crudo. Le proteine del riso non formano glutine, al contrario della pasta ed hanno un valore biologico leggermente più elevato .Chi soffre di sonnolenza dopo i pasti beneficia più dell’amido del riso che non di quello della pasta di grano perché essendo costituito di granuli di piccole dimensioni impegna meno il processo digestivo. Il riso è il cereale meno allergizzante ed è consigliabile, proprio per il suo valore proteico ridotto a chi soffre di patologie renali, gotta e se di varietà integrale può essere consumato dai diabetici, grazie all’indice glicemico più basso.
Il riso non è solo apprezzato dal punto di vista culinario ma ha anche una azione benefica sulla pelle, per le sue affinità biochimiche con la struttura della epidermide. E’ un trattamento naturale anti-età intanto perché è un filtro naturale che protegge la pelle dalla foto-aggressione dei raggi solari, l’amido di riso ha effetto lenitivo ed emolliente e l’olio di riso mantiene la tonicità della pelle.
Quindi per concludere: riso sì, meglio bianco se si hanno problematiche intestinali come ad esempio la diarrea o se si soffre di colite, nero se invece si vuole integrarlo in una dieta disintossicante e dimagrante o se si ha a che fare con un problema metabolico.

E’ un'alga di colore brunastro, deve il suo nome a Plinio che l’ha chiamata quercia proprio per la sua somiglianza con questo albero. Cresce lungo le coste dell’Oceano Atlantico, dalla Groenlandia alla Manica. Si presenta con una base piatta che si fissa al fondo marino o alle rocce grazie a dei lobi uncinati da cui dipartono delle formazioni allungate che si dividono ulteriormente, dandole l’aspetto di un albero. Sulla superficie ha delle vescichette piene di aria che le conferiscono la possibilità di far galleggiare la parte più aerea della pianta sull’acqua.
Viene anche chiamata Fucus Vesiculosus e deve la sua notorietà alle caratteristiche terapeutiche che possiede, e che sono state scoperte nel diciannovesimo secolo da un medico francese che la stava sperimentando per la cura di una malattia dermatologica. E’ infatti dotata di attività dimagrante ed è anche particolarmente ricca in minerali, oligoelementi, vitamine. E’ un ottimo depurativo e tonificante del metabolismo. La concentrazione di iodio contenuto la rende molto interessante come coadiuvante nelle diete dimagranti. Lo iodio stimola infatti la funzione tiroidea ed il ricambio in generale. La sua azione che, come per tutte le piante, non è immediata, si manifesta in genere dopo 21-30 giorni con particolare tropismo verso le zone ricche in cellule adipose, come fianchi, addome e cosce.
Il fucus viene anche impiegato per uso topico in formulazione cremosa per migliorare il metabolismo e la microcircolazione locale, soprattutto nelle zone del corpo affette da cellulite o da un eccesso di adipe. La quercia marina trova anche il suo impiego in alcune malattie dermatologiche come la psoriasi o là dove c’è uno squilibrio a carico dei grassi con conseguenti manifestazioni cutanee. La sua azione di stimolo particolarmente accentuata sul metabolismo lipidico è utile anche per ridurre i livelli del colesterolo e degli zuccheri nel sangue. Inoltre la quercia marina è ricca in alginato, e questo la rende utile in chi soffre di stitichezza: a livello intestinale favorisce il richiamo di acqua nel lume dell’intestino, e questo idrata le feci rendendole più facili da espellere.
La sua controindicazione è legata all’alta percentuale di iodio presente, per cui chi ha una patologia tiroidea in corso, soprattutto su base autoimmune o è allergico, dovrebbe astenersi da consumare questa alga. Gli effetti collaterali da sovradosaggio e da eccessiva ingestione sono tremori, insonnia, irritabilità, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.

Il termine deriva dal greco “protos”, cioè primario. Sono dei composti organici costituiti da una sequenza di amminoacidi. Alcuni amminoacidi vengono chiamati essenziali perché il corpo umano non riesce a crearli da solo ma devono essere necessariamente forniti dalla dieta. Gli amminoacidi essenziali sono otto: leucina, isoleucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina. I cosiddetti semi-essenziali (istidina, arginina, cisteina e tirosina) possono essere sintetizzati da quelli essenziali, a patto che il quantitativo di essenziali sia in eccesso.
Le proteine sono importanti per l’organismo perché sono i costituenti sia della struttura del corpo come muscoli e ossa, che della cellula (ad esempio le proteine della membrana cellulare), ma sono anche enzimi, ormoni, neurotrasmettitori, anticorpi. E’ un errore però credere che abbiamo necessità di grossi quantitativi di proteine. Intanto l’utilizzazione delle proteine è ottimale quando anche il fabbisogno di carboidrati è soddisfatto in modo corretto. Quindi diete sbilanciate, iperproteiche, non fanno utilizzare queste sostanze in modo corretto. Un eccesso di amminoacidi carica il rene in modo tale da favorire alla lunga un deficit di questo importantissimo organo. Un eccesso di proteine ingurgitate con la dieta provoca un aumento dell'escrezione urinaria di calcio, un pericolo ulteriore per la salute dei reni. E’ importante tenere presente che esiste un fabbisogno basale di proteine, quelle che vengono naturalmente perse con l'eliminazione fisiologica di azoto, circa il 2%, e una quota che è addizionale quando ad esempio sono in corso di processi infettivi, traumi o situazioni impegnative, come ad esempio la gravidanza (alla quota individuale aggiungere 6 g in più al giorno); in tali casi è necessario assumerne un extra con la dieta giornaliera. Anche nel bambino in crescita un 15% in più di proteine assicura un buon accrescimento. Normalmente il fabbisogno varia da 0.6 a 0.9 g/kg peso corporeo al giorno, quindi per una persona di 70 kg dai 42 ai 56 grammi.
A seconda degli alimenti il contenuto di proteine e aminoacidi è variabile, ad esempio oltre alla carne anche l’uovo o i latticini forniscono tutti gli aminoacidi essenziali: la carne è costituita da un 20% di proteine, come pure i formaggi, i pesci a seconda del tipo, dal 12% al 20%; 100 g di uovo ne hanno ben 13 g.
A proposito di carne, è veramente così pericolosa? Ormai ci sono moltissimi studi clinici che ci invitano a fare qualche considerazione. Prendiamo ad esempio le carni inscatolate, conservate, elaborate, come la pancetta, hot-dog, hamburger e prosciutti: sono preparati utilizzando sodio nitrato, che rende le carni di un bel colore rosso, spesso con l’ aggiunta di glutammato di sodio, dannoso per la sua interferenza con i motoneuroni, cioè i neuroni che comandano il complesso sistema motorio del nostro corpo. Le carni preparate con il nitrato di sodio possono formare le nitrosammine, fortemente oncogene, cioè che possono causare tumori, soprattutto a livello del sistema digerente. Alcuni studi mettono in correlazione il consumo di carni rosse con il diabete, le malattie coronariche e l’ictus. Secondo l’oncologo Veronesi, chi si nutre di proteine animali ha il 30% di rischio in più di sviluppare un carcinoma nel corso della sua vita.
Tra le fonti di proteine vegetali i legumi come fagioli, lenticchie, ceci e piselli, chiamati anche “la carne dei poveri”, costituiscono un'ottima fonte proteica anche se sono carenti in metionina e cistina; se si consuma la soia si incamera dal 30 al 40% del peso in proteine e tutti gli aminoacidi essenziali.
Un discorso a parte meritano latte e latticini. C’è un'oggettiva differenza tra la composizione del latte materno e quello vaccino. In quello materno la caseina (fonte proteica) ha percentuali più basse (2%), anche la percentuale dei grassi, prevalentemente insaturi, è più bassa. Il latte vaccino ha il 30% di caseina, quest’ultima è responsabile, dopo il lattosio, delle frequenti intolleranze a questo alimento. La caseina purtroppo rimane anche nei derivati del latte, come i formaggi, spesso anch’essi responsabili di intolleranze e di mal digestione. Anche lo yogurt, che è la coagulazione del latte, grazie ai fermenti come il lattobacillo bulgarico e lo streptococco termofilo, ha la caseina, ma questa viene trasformata in un coagulo soffice, più facile da digerire. Uno yogurt fornisce tutti gli aminoacidi essenziali e 5 g di proteine per 100 grammi di alimento. I formaggi freschi hanno più lattosio di quelli stagionati, anche se questi ultimi possono causare cefalea nelle persone sensibilizzate a causa della trasformazione dell’aminoacido tirosina in tiramina.
Il latte e tutti i latticini sono ricchi in calcio, la loro limitazione può causare un suo ridotto apporto giornaliero? Aprendo una parentesi su questo oligo-elemento, che è responsabile della corretta robustezza delle ossa e dei denti, è importante sottolineare come il suo assorbimento sia compromesso da un eccesso di grassi, che si combinano con il calcio formando composti insolubili eliminati con le feci. Evitando di aggiungere nello stesso pasto altri alimenti ricchi, si riesce ad evitare che il calcio venga eliminato con le feci e non venga assorbito correttamente.
La digestione delle proteine è un lavoro faticoso che il nostro organismo svolge bene soprattutto se aiutato da pochi semplici accorgimenti.
Intanto dove avviene? Inizia nello stomaco, dove le proteine subiscono una prima degradazione e trasformazione in amminoacidi, e poi si conclude nell’intestino, dove i batteri intestinali concludono il compito digestivo per questo nutriente. Un eccesso di aminoacidi può scatenare i batteri patogeni che formano composti dannosi per l’organismo, oltre a dare un aumento di gas maleodorante. E’ quindi buona norma non mangiare proteine appartenenti a gruppi diversi nello stesso pasto, come ad esempio carne con fagioli, meglio evitare di associare un pasto ricco in carboidrati con le proteine. Le proteine si digeriscono meglio se vengono assunte con piccole dosi di limone o di aceto.
Le verdure sono indispensabili per evitare che si instauri un processo putrefattivo patologico, quindi ricordiamoci di mangiarne sempre un piatto abbondante quando facciamo un pasto proteico.

Gli oli alimentari sono oli vegetali che vengono ricavati dalla spremitura o vengono estratti con solventi dai frutti e dai semi di alcune piante. L’olio più celebre è quello di oliva, che deriva dalla polpa dei frutti, le olive; un altro olio che deriva dalla polpa è quello di palma. L’olio di oliva è un prodotto antico e pregiato e, come tale, purtroppo è sottoposto a sofisticazione. L’Italia e la Spagna sono tra i maggiori produttori. L’olio di oliva viene ottenuto con la spremitura a freddo delle olive. Come qualità è eccezionale e viene consumato sia a crudo che per cucinare, quindi scaldato, perché ha il cosiddetto “punto di fumo” elevato, oltre i 210 gradi centigradi se extravergine.
Il punto di fumo è la temperatura in cui un grasso riscaldato inizia a decomporsi alterando la propria struttura e formando acroleina (aldeide acrilica), una sostanza tossica e cancerogena.
L’olio di oliva è ricco in acidi grassi monoinsaturi, e il condimento è ideale per tenere a bada il colesterolo LDL perché l’acido oleico di cui è ricco lo riduce senza intaccare la quota di HDL. Non tutti gli oli di oliva sono uguali ed è quindi importante leggere le etichette con attenzione.
E’ consigliato consumare solo l’extravergine, che ha una acidità inferiore al 1% e mantiene una bassa percentuale di grassi saturi (18%), contiene vitamina A ed E, che agiscono come antiossidanti e ne ritardano l'irrancidimento.
L’olio di oliva vergine è invece ottenuto da spremitura e filtrazione dei residui della lavorazione dell’extravergine, ha un'acidità maggiore (2%). L’"olio di oliva" è la miscelazione di quello vergine con olio trattato con sostanze chimiche. L’olio di sansa e di oliva viene estratto con solventi chimici.
Se l’olio di oliva si presenta più torbido e denso, ha subito una filtrazione minore ed è più soggetto all'irrancidimento precoce. In genere se si apre una bottiglia è meglio consumarla entro 12 mesi.
Altri oli alimentari: tra i più famosi l’olio di arachide, che è ricco in acido oleico anche se in percentuale inferire rispetto a quello di oliva, ma con una buona quota di omega-6. Il suo punto di fumo è 180 gradi centigradi, proprio perché possiede una quota alta di monoinsaturi nella sua composizione; l’olio di semi di girasole, ricco in omega-6 e vitamina E, deve essere usato a crudo in quanto se scaldato produce sostanze tossiche che passano negli alimenti. L’olio di mais è simile al girasole, quindi si deve usare a crudo. L’olio di semi di soia contiene sia omega-6 che -3. Bastano 2 cucchiai da minestra di questo olio per soddisfare il fabbisogno di acidi grassi essenziali; deve essere, come gli altri oli, protetto dalla luce e conservato in ambiente fresco. L’olio di semi di lino deriva da semi che hanno molte proprietà benefiche: favoriscono la motilità intestinale perché ricchi in fibre, hanno proprietà antinfiammatorie e recentemente è stato ipotizzato abbiano anche un'attività anti-tumorale.
L’olio di lino è ricchissimo in omega-3, che contrastano l’infiammazione e favoriscono il sistema immunitario. E' inoltre ricco in vitamina E e lecitina, utile per il funzionamento delle cellule cerebrali. Un cucchiaio al giorno e il fabbisogno di omega 3 è soddisfatto. Se si desidera conservarlo, è importante sia protetto dalla luce e stia in ambiente refrigerato perché irrancidisce velocemente.
Un discorso particolare per l’olio di palma, che spesso viene aggiunto nelle preparazioni industriali come biscotti, brioche e altri prodotti confezionati. E’ ricco in grassi saturi, il suo uso può danneggiare arterie e cuore per l’elevato innalzamento del colesterolo; se sottoposto al processo di idrogenazione dà origine alla margarina.
La famosa nutella è ricca in olio di palma allo stato solido e questa sostanza le conferisce la famosa cremosità.
La margarina viene sintetizzata grazie a sostanze chimiche estrattive da olio di palma e colza, il liquido risultante viene trattato con acido fosforico per eliminare le impurità, poi passato con soda caustica e infine idrogenato a 200 gradi centigradi in presenza di nichel.

Quando si menziona una sostanza nervina in genere si pensa al caffè. In realtà le sostanze nervine sono diverse, le più comuni e popolari, oltre al caffè, sono il tè, il cacao e la cola. Tecnicamente queste sostanze agiscono a livello cellulare facilitando l’ingresso all’interno della cellula di ioni Calcio. In pratica, chi assume una sostanza nervina ha un potenziamento dei propri circuiti cerebrali, migliora l’apprendimento e l’attenzione, viene stimolata la contrazione del cuore e dei muscoli in generale, quindi migliora anche la prestazione fisica, aumenta la diuresi, la respirazione e quindi tutto il corpo è pronto all’azione, per cui è in genere controindicato assumere queste sostanze se ci si vuole rilassare.
Le sostanze nervine sono presenti anche nei cosiddetti Energy drinks. In queste bevande l’elemento principale è la caffeina. A basse dosi la caffeina stimola lo stato di veglia, la capacità di concentrazione e migliora l’efficienza fisica e mentale. Per basse dosi si intendono 2 o 3 tazzine di caffè. Per dosi maggiori possono insorgere agitazione, tremori, nausea, irrequietezza. La caffeina dà anche tolleranza, quindi c’è la necessità di aumentare le dose quotidiana per avere gli stessi effetti, in sostanza agisce come una droga. In un Energy drink ci sono in media 80 mg di caffeina pura (pari ad una tazzina di caffè). La caffeina viene mescolata ad altre sostanze vitaminiche e pro-energetiche aggiunte allo scopo di potenziarne l’effetto, quindi con due lattine si raggiunge la dose massima giornaliera, se assunte in concomitanza all’alcol, si potenziano gli effetti eccitatori. Meglio quindi farne un consumo episodico e non costante ogni giorno.
Bere caffè a digiuno danneggia lo stomaco e stimola la secrezione acida, bere il caffè entro le 6 ore prima di coricarsi rovina la qualità del sonno, uno studio dice che bere caffè dopo un pasto ricco in grassi aumenta la glicemia, cioè lo zucchero nel sangue, del 65%. Ma quanta caffeina ingurgitiamo? Dipende dove beviamo il caffè, al bar ne è più povero, solo 40 mg, a casa sono 80 e ben 120 se amiamo il caffè lungo americano.
La caffeina entra anche nella composizione di molti farmaci come gli anti-influenzali o gli analgesici. Dopo 1 ora dalla sua assunzione entra in circolo e viene eliminata con velocità diversa su base individuale.
E il caffè verde? Ci sono in commercio molti dimagranti che contengono il miracoloso caffè verde che miracoloso non è, non aiuta a bruciare i grassi anche a dosi elevate. Il caffè verde può essere consigliabile perché è meno acido del caffè nero tostato, contiene principi nutritivi e antinfiammatori, minerali e vitamine del gruppo B. Non dà il picco di caffeina come quello tostato, pur stimolando lo stato di attenzione, la vigilanza e la vitalità.

Questo termine può sembrare un po’ arcaico, oggi è più facile sentire parlare di snack dolci o salati, ma io preferisco ancora questo termine che mi riporta ai giorni di scuola quando a ricreazione ognuno aveva qualcosa da sgranocchiare, spesso preparato con amorevolezza dalla mamma, a volte comprato lungo la strada (perché a scuola si andava a piedi), non esistevano distributori di merendine industriali, quindi chi era senza doveva digiunare fino a pranzo.
Per merendine si intendono tutti i prodotti da forno in genere dolci ma anche snack salati che campeggiano nei banchi dei supermercati, spesso supportati da una pubblicità accattivante, possono essere anche vendute in distributori diffusi nelle stazioni, uffici e in generale sul territorio. Tutti questi prodotti rappresentano un serio problema per la salute e vediamo perché.
Intanto sono ricchi in conservanti e coloranti. Una ricerca di qualche anno fa ha messo in relazione gli additivi con il peggioramento o la slatentizzazione dei disturbi del comportamento nei bambini: deficit dell'attenzione, difficoltà nell’apprendimento e iperattività. Ma i pericoli non finiscono qui. Alimenti ricchi in carboidrati raffinati come questi prodotti non apportano né vitamine, né minerali e fibre, ma aumentano il livello di glucosio nel sangue quindi con un forte stimolo alla produzione di insulina. Questo comporta una brusca caduta della glicemia con un rinnovato senso di fame, quindi lo stimolo a introdurre altri alimenti a base di carboidrati, uno stimolo alla produzione da parte del nostro corpo di grassi, con un pessimo effetto sull’apparato cardiovascolare.
In genere per produrre le merendine si utilizzano oli poco pregiati, anzi potenzialmente pericolosi, come l’olio di palma raffinato che viene anche utilizzato in genere dalle friggitorie. Nella lavorazione e raffinazione perde il suo intrinseco potere anti-ossidante; essendo ricco in acido palmitico aggredisce il sistema cardiocircolatorio. Ma perché viene utilizzato olio di palma? Si trova anche nelle creme spalmabili come la Nutella, perché ha proprietà addensanti, ma dà anche cremosità oppure un aspetto croccante se in forma liquida. Viene preferito al più salutare olio di oliva perché quest’ultimo, a parte il costo, è meno resistente alle condizioni in cui gli alimenti vengono conservati.
Chi è allergico a noci e nocciole deve stare attento a consumare questo olio, benché trattato industrialmente, perché la reazione allergica è dietro l’angolo; inoltre è predisponente a malattie come diabete e obesità.
E’ ancora da esplorare fino in fondo la relazione tra questo olio e l’innalzamento del colesterolo, soprattutto la frazione LDL. Per la potenziale carcinogenicità, vale il discorso che si fa per tutti gli oli quando sono sottoposti a riscaldamento con la cottura, perchè vengono generati composti cancerogeni. Uno studio molto recente mette in relazione l’aumento di sostanze favorenti l’infiammazione circolanti con il consumo di olio di palma. Queste sostanze determinano un incremento di patologie cronico-degenerative, e un conseguente aumento del rischio di morte.

“Una volta, rientrato affamato dalla campagna, vide Giacobbe che aveva cotto un piatto di lenticchie,quando gli chiese da mangiare, Giacobbe gli chiese in cambio la primogenitura e Esaù accettò" (Genesi).
I legumi sono i semi commestibili delle piante che appartengono alla famiglia delle leguminose. Si trovano in natura freschi, e come tali sono semi immaturi ricchi in acqua; altra varietà è quella secca. I legumi secchi sono molto ricchi in proteine, mancano però di due aminacidi, la metionina e la cisteina, quindi è importante combinarli con altri nutrienti come ad esempio i cereali, aventi una quota proteica ma più bassa. Ad esempio un'ottima combinazione è il riso con i piselli.
Altre caratteristiche nutrizionali: sono poveri in grassi (a parte la soia), circa 2-4%, sono ricchi in lecitina che favorisce la diminuzione del colesterolo circolante. La lecitina è un costituente dei lipidii, e nel corpo umano è un componente primario delle membrane cellulari. A livello del fegato viene coinvolta nella sintesi dell'enzima Lecitina Colesterolo Acil Transferasi (LCAT), che facilita l'esterificazione del colesterolo, necessaria alla sua distribuzione nei diversi tessuti. L’enzima inoltre allontana il colesterolo in eccesso attraverso la bile. Quindi è un po’ come uno spazzino, importante per contrastare l’aterogenesi.
I legumi hanno una componente di glucidi (zuccheri) elevata, per cui costituiscono un'ottima fonte di energia. Ma quello che li rende interessanti è la fibra alimentare in essi contenuta, di tipo prevalentemente insolubile, che quindi facilita le evacuazioni e aiuta a trattenere nella massa che si forma anche componenti che possono nuocere all’intestino.
I legumi, nonostante la componente glucidica, possono essere utilizzati dai diabetici proprio per queste caratteristiche. Hanno anche vitamine e sono una buona fonte di calcio. I legumi vengono erroneamente utilizzati come contorno (es. carne e fagioli o carne e piselli), in realtà hanno la dignità di un'alternativa alle altre fonti proteiche più blasonate. I più comuni sono i fagioli borlotti, screziati con striature rossastre che in 100 g freschi danno quasi 6 g di proteine e 4 di fibre. I fagioli secchi sono ricchi in calcio (100 g) e ferro (9mg). Le lenticchie, da sempre accoppiate al cotechino, sono il legume più antico che, oltre ad avere tutte le caratteristiche degli altri legumi, sono in più ricche di isoflavoni, che conferiscono il potere antiossidante, quindi prevengono l’ossidazione delle molecole che possono produrre radicali liberi.
Ricche in fibra (14 g) e con 22 g di proteine si presentano in diverse qualità e, a parte quelli verdi che non necessitano di ammollo preventivo, le altre devono subire questo processo prima di essere cotte e consumate.
A proposito di ammollo, questo è consigliabile per tutti i legumi secchi, in quanto elimina l’acido fitico, un acido nemico dell’assorbimento degli oligoelementi. Quindi è da evitare di usare l’acqua dell’ammollo perché i legumi scaricano lì questo acido. La cottura poi annulla gli enzimi chiamati proteasi, che se integri romperebbero le proteine, rendendole inutilizzabili.
I ceci sono ricchi in magnesio, calcio, ferro, fosforo e potassio, vitamina A e molibdeno, disintossicante il fegato.
Dei piselli si possono anche utilizzare i baccelli per preparare brodi vegetali ricchi in minerali, in stagione tra maggio e giugno. Riispetto agli altri legumi sono più ricchi in acqua ma hanno meno fibre e carboidrati, comunque la fibra è sufficiente per aiutare un intestino pigro, essendo poveri in grassi possono essere tranquillamente usati in diete ipocaloriche.
Oltre a questi legumi, appartengono alla famiglia le fave, le arachidi ricche in vitamina E, i lupini che, prima di essere consumati, devono essere trattati, in quanto amari e poco palatabili, inoltre devono essere eliminate delle sostanze tossiche, chiamate alcaloidi; anche le cicerchie fanno parte della famiglia: attenzione, hanno una neurotossina che può causare la paralisi, seppur momentanea, agli arti inferiori.
Un discorso particolare merita la soia. E’ il legume con il più alto contenuto di proteine, 34% ma anche in grassi, 18%. Ne esistono due varietà la gialla e la nera. Un altro tipo di soia, la rossa (azuk), è in realtà un fagiolo. E’ ricca in lecitina, la più ricca dopo l’uovo, ed ha i fitoestrogeni che agiscono come sostituti di quelli naturali in situazioni parafisiologiche come la menopausa. E’ utile anche agli uomini per la riduzione della massa tumorale della prostata, come riportato in alcuni studi. La soia è versatile, ad esempio si può produrre il latte di soia, gli hamburger vegetali, la farina, che non contiene glutine, i germogli, il miso che è una salsa vegetale, le noccioline (semi saltati in olio o tostati), la salsa, il tempeth che è a base di soia bollita fermentata, il tofu o formaggio di soia di aspetto cremoso e denso, gli spaghetti, lo yogurt. La soia possiede tutti gli aminoacidi essenziali, anche se in piccola quantità, ed è ricca in minerali e vitamina A,B,D,E. Attenzione però a chi è ipotiroideo, perché nella soia ci sono sostanze che inibiscono la funzione della tiroide; recentemente si è ipotizzato che i famosi fitoestrogeni possano intaccare il tessuto cerebrale, con il rischio di sviluppare una demenza senile. Attenzione anche alla salsa di soia, una salsa fermentata con grandi quantità di sale e di glutammato. Un cucchiaino da te di soia equivale a 1 g di sale (ne dovremmo consumare al massimo 5 g al giorno), ma è proprio il glutammato che può essere causa della cosiddetta sindrome del ristorante cinese con problemi digestivi e anche perdita temporanea dello stato di coscienza. Infine due parole sulla soia edamame. Si presenta come un fagiolino verde, viene raccolta quando non è ancora a maturazione. Ha meno proteine della soia matura (11g), ma vitamine C, E, B, minerali soprattutto ferro.
Il vantaggio rispetto alla soia gialla o nera è che è meno dura, non si deve mettere in ammollo preventivo ma può essere cotta e consumata più velocemente.

Lo iodio è un oligoelemento indispensabile per il buon funzionamento della tiroide. Infatti è proprio grazie a questo che la tiroide fabbrica gli ormoni T3 e T4 necessari per il buon funzionamento, tra le altre cose, del metabolismo e dell’apparato cardiovascolare.
Lo iodio è presente negli alimenti naturali, nei prodotti alimentari fortificati e negli gli integratori. I prodotti naturali più ricchi in iodio sono i pesci di mare, i crostacei e i molluschi. In concentrazioni inferiori ma pur sempre interessanti è presente nelle uova, nel latte di mucca e nella carne. Anche i vegetali e la frutta possono avere una certa quantità di iodio, in base a quanto iodio è presente nella terra e nell’acqua. Alcuni animali vengono alimentati con farina di pesce, pertanto le loro carni possono raggiungere livelli più alti di iodio.
Qual è il fabbisogno di iodio al giorno? Per un adulto servono 150 microgrammi, nei bambini la metà ma in gravidanza si cresce fino a 250 microgrammi.
Qualche numero sulla concentrazione di iodio negli alimenti: una tazza media di latte di mucca fornisce circa 40 microgrammi di iodio; 100 g di crostacei danno 300 microgrammi, di pesce 100. Tra gli alimeti arricchiti c’è il sale iodato. Ogni grammo di sale iodato fornisce 30 microgrammi di iodio. E’ vero che lo iodio attraverso gli ormoni T3 e T4 controlla il metabolismo, ma è altrettanto vero che in una persona che ha la tiroide che funziona correttamente non è necessario caricarla di iodio oltre misura. Mi riferisco a integratori di iodio che potrebbero rovinare il delicato equilibro che la tiroide intrattiene con il sistema di controllo, generando uno stato di ipertiroidismo indotto con conseguente aumento della pressione arteriosa e aumento della frequenza e attività cardiaca, quindi un sovraffaticamento del cuore.
Un discorso a parte per le alghe. Le marine sono tutte ricche in iodio, alcune ne hanno veramente tanto, come l’alga Kombu che viene utilizzata in cucina per piatti a base vegetale, come minestroni e zuppe di verdura; con i legumi lessati o stufati li “ammorbidisce” e li rende più digeribili. Viene anche utilizzata per brodi vegetali.
100 g di Kombu possiedono ben 265.000 microgrammi di iodio, quindi il consumo settimanale consigliato è di un pezzettino di alga, circa 3 cm.
Un’altra alga che ha un grande quantitativo di iodio, ma un quarto rispetto a quello fornito dalla Kombu, è la Arame, anche questa utilizzata in cucina per piatti a base vegetale.

Chi, come chi scrive, è più “datato”, ricorderà una pietanza che veniva propinata dalla mamma premurosa dal nome “svizzera”: carne macinata e pressata che veniva cotta in un padellino con burro o con olio. Il nome pare derivi proprio dalla Svizzera dove questa grande polpetta di carne macinata riscuoteva un certo successo. In realtà era la copiatura dell’hamburger Americano, importato da emigranti il secolo scorso.
Tutti noi conosciamo l’hamburger servito nei fast food, si presenta come un panino di pane morbido e in genere bianco, farcito con della carne macinata di manzo o in alternativa di pollo, in precedenza cotta alla piastra o alla griglia. L’hamburger originale nasce dall’impasto con carne rossa magra e grassa che rappresentava una valida strategia per smaltire i “ritagli” di macelleria. In genere la componente grassa è abbastanza elevata e questo fa salire il contenuto di grassi saturi e colesterolo presenti nel panino. L’hamburger in genere viene servito con un corollario di salse, come la ketchup o la senape, con formaggio tipo sottilette, con verdure grigliate (cipolle, melanzane, zucchine), sottaceti, bacon o anche uova. Senza queste particolari aggiunte è comunque sempre un alimento ipercalorico a causa dell’elevato contenuto in grassi ella carne e degli zuccheri presenti nella farina bianca del pane.
Manca invece di fibra alimentare, vitamine e minerali. Quindi è un pasto squilibrato, se poi viene consumato velocemente può indurre ad un ulteriore consumo di cibo per un senso di mancata sazietà. Non parliamo poi se si associano un bel piatto di patatine fritte, complemento in genere sempre molto gettonato.
Ma vediamo qualche numero. Un hamburger medio di circa 200 g porta da solo circa 500 calorie, di cui due terzi in grassi e zuccheri. Un pasto completo a base di proteine animali come la carne bianca di pari peso, completa di un panino integrale e verdura cruda condita apportano 120 calorie in meno e la quota in grassi e zuccheri è dimezzata mentre si alza la quota proteica e le fibre. Sicuramente il potere saziante di un pasto di questo tipo è diverso da quello di un hamburger. Discorso lievemente diverso se l’hamburger viene fatto al momento con carne la più scelta possibile, viene cotto senza grassi e soprattutto viene consumato non in un panino con salse e intingoli ma con un più sano piatto di verdure crude.
L’apporto calorico per 100 g è di 210 calorie circa, di cui la metà è costituita da grassi. Sempre comunque un pasto impegnativo, anche per la quota di sodio che è comunque discreta, circa 65 mg (consideriamo che il nostro fabbisogno giornaliero è di 5 g massimo e che il sale è presente in misura variabile in tutti gli alimenti).
Una piccola parentesi sul sale, alcuni alimenti ne hanno veramente tanto come, ad esempio, il formaggio, circa 1.2 g per 100 g. La salsa di soia ben 1 g a cucchiaino, un cucchiaino di dado ne contiene, se presente il glutammato monosodico, circa mezzo grammo.

Nella cultura alimentare corrente i grassi sono sotto accusa per aver causato guai di ogni tipo: si va dal semplice aumento di peso fino a malattie più impegnative, come i calcoli alla cistifellea, l’aterosclerosi, fino ai tumori maligni. In realtà stiamo parlando sempre e comunque dell’eccesso di alimentazione dove, accanto ad un aumento dei grassi, si assumono troppi zuccheri semplici e raffinati.
I grassi sono invece componenti essenziali della dieta, secondo il modello della piramide alimentare devono essere presenti nella percentuale del 25-30% giornaliera. Occorre però scegliere in maniera oculata quale tipo di grasso introdurre nella dieta.
Intanto a cosa servono?
Ad esempio, i fosfolipidi sono costituenti essenziali e indispensabili per le membrane cellulari, in quanto permettono l’integrità e gli scambi attraverso la membrana della cellula. Poi metabolizzano le vitamine liposolubili, cioè quelle immagazzinate nel tessuto adiposo, come la vitamina A,E,D e K; sono responsabili di un maggiore senso di sazietà dopo il pasto, influenzano la produzione di ormoni, ad esempio quello della crescita, o quelli sessuali e il cortisolo.
Durante l’attività fisica vengono utilizzati assieme ai carboidrati (gli zuccheri), fornendo la giusta energia per una attività fisica di grado medio-medio basso, se l’attività si protrae per almeno 1 ora si va incontro ad un esaurimento delle scorte dei carboidrati e si inizia a consumare i grassi.
I grassi proteggono anche gli organi interni da traumi e stress, senza grasso viscerale gli organi sono a rischio di perdere la loro posizione, scendendo verso il basso.
Troppi grassi invece infarciscono alcuni organi come il fegato e quando questo succede non è un bel segno, può preludere ad una sofferenza metabolica dell’organismo e quindi va valutato con attenzione.
Di grassi o lipidi in natura ne esistono di diversi tipi: i lipidi semplici, chiamati così perché costituiti da atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno. Sono abbondanti in natura sia nel regno animale, allo stato solido, che vegetale, allo stato liquido. Servono come deposito di energia a livello del tessuto adiposo. I lipidi complessi sono, come dice il nome, formati da più elementi o componenti, ad esempio i fosfolipidi sono costituiti da lipidi semplici, acido fosforico e una base azotata.
A complicare ulteriormente le cose si parla di lipidi saturi o insaturi, a seconda che nella struttura chimica siano presenti dei legami semplici tra atomi di carbonio o uno o più legami doppi.
Dal punto di vista della vita di ogni giorno, i grassi saturi si trovano soprattutto nelle carni animali e nei prodotto come latte e latticini, ma anche in alcuni oli vegetali, nel burro e nella margarina. Rappresentano i grassi che ristagnano di più nelle cellule epatiche. Per evitare danni, non dovrebbero rappresentare più del 10% nella composizione della dieta. I grassi insaturi sono invece importanti per alcuni processi metabolici, ad esempio sono i costituenti degli acidi grassi essenziali, chiamati anche AGE, così definiti perché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli da solo e quindi devono essere introdotti con la dieta, sono essenziali per la vita delle cellule del nostro corpo. Fondamentalmente gli AGE da tenere a mente sono gli omega-3, gli omega-6 e l’acido arachidonico. A seconda di come è la composizione della dieta si formano più omega -o omega-3 e questo avviene perché c’è una competizione per accaparrarsi gli enzimi, che sono in comune, che servono per formare sia gli omega-3 che 6. Più alimenti ricchi in omega-6 si introducono, più questi distoglieranno gli enzimi dagli alimenti ricchi in omega-3 e la scissione enzimatica sarà indirizzata a liberare più omega-6. Se prevalgono gli omega 6, ci sarà una maggiore predisposizione alla aggregazione delle piastrine, quindi una potenziale formazione di trombi, un aumento della pressione arteriosa, maggiore tendenza alle reazioni allergiche infiammatorie, per un aumento delle prostaglandine che sono dei mediatori della infiammazione, una diminuzione del colesterolo totale ma non della frazione HDL, il cosiddetto colesterolo buono. Gli omega 6 si trovano nelle carni rosse, uova, ma anche nei cereali, frutta secca, legumi, oli di semi come il girasole e mais.
Gli omega 3 invece li ritroviamo nei pesci, in particolare quelli a carne più grassa come tonno, salmone, sgombri, pesce spada, sardine, nella soia, noci e soprattutto nei semi di lino, e hanno azione opposta a quella degli omega 6, aiutano anche a sostenere il trofismo della pelle, che viene “nutrita” dall’interno e non si sfoglia.
Quanto omega-3 e 6 si deve assumere nel corso della giornata con la dieta giornaliera? Il rapporto ottimale sarebbe di 1: 4, al giorno d’oggi questo rapporto è sbilanciato per colpa di diete incongrue, in genere è di 1:10.
Discorso a parte merita il colesterolo. Anche il colesterolo entra nella costituzione delle membrane cellulari, di cui regola fluidità e permeabilità; anche la trasmissione nervosa dipende in parte dal colesterolo, che entra nella composizione della guaina mielinica. E’ inoltre un precursore della vitamina D, dei sali biliari e degli ormoni steroidi. Quindi un ottimo alleato a patto che non sia in eccesso, altrimenti diventa un nemico per la nostra salute. Il colesterolo viene formato all’interno dell’organismo, in condizioni normali circa 600-1000 mg al giorno nel fegato, mentre con la dieta una corretta assunzione dovrebbe attestarsi attorno ai 200-300 mg al giorno. Chi è per familiarità portato a una ipercolesterolemia dovrebbe stare attento a ridurre la quota dei grassi saturi, quindi di origine animale a meno del 10%, eliminare i grassi idrogenati presenti ad esempio nei prodotti da forno confezionati industrialmente e a ridurre gli alimenti con alto indice glicemico.
Perché serve sapere non solo quanto colesterolo totale c’è ma anche la frazione HDL e LDL?
Intanto sono lipoproteine con funzione di trasporto, le LDL sono cariche di colesterolo e lo trasportano ai tessuti periferici, le HDL invece lo trasportano al fegato dove viene utilizzato per la formazione dei Sali biliari e poi eliminato con la bile.
Livelli alti di colesterolo LDL predispone allo sviluppo di aterosclerosi, al contrario l’HDL agisce come una sorta di spazzino che pulisce i vasi e fa smaltire il colesterolo al fegato.
Si ricorda che il colesterolo si converte in sali biliari con più facilità se l’organismo ha un adeguato quantitativo di vitamina C.
Il colesterolo si trova principalmente nella carne rossa, burro, latticini ma anche nei prodotti manipolati dall’industria. Un discorso a parte meritano le uova che sono sì ricche in colesterolo ma anche interessanti per i nutrienti che le compongono, quindi da non escludere ma da integrare in una dieta bilanciata.

La frutta possiede un'elevata attività anti-ossidante, ha numerose vitamine e minerali e fornisce una buona quota di carboidrati sotto forma di fruttosio. La frutta è indispensabile per de-acidificare il nostro sangue, fornisce una buona quota di energia ed è importante per regolarizzare le funzioni intestinali, essendo composta da fibra cosiddetta solubile e insolubile. La fibra solubile aumenta il tempo di transito intestinale e assorbe zuccheri, sali biliari, colesterolo e grassi, aumentando la massa fecale. Molti frutti posseggono questo tipo di fibra, prevalentemente la pectina. La fibra insolubile, come la cellulosa o la lignina, invece accelera il transito intestinale. Spesso la frutta contiene entrambe le componenti quindi è un toccasana per l’intestino. Il contenuto medio di fibra è per la frutta di circa 1-4%, per la frutta secca è più alto, attorno al 5-12%. Oltre a frutta fresca e secca c’è anche la frutta conservata.
Che tipo di vitamine troviamo nella frutta? Osserviamo il colore! Frutta di colore rosso-aranciato è fonte principalmente di vitamina A, se di colore giallo-verde è fonte di vitamina C. La frutta è fonte di acqua, preziosa per la nostra idratazione e per l’equilibrio acido-base. Quindi chi ha i reni un po’ affaticati beneficia di una dieta ricca in frutta, là dove si intende come ricco il consumo di 2-3 porzioni giornaliere
In termini energetici la frutta apporta l’energia fornita dai carboidrati presenti nella sua composizione, importante è consumarla in stagione, quando è matura in modo naturale, quando dà il massimo. Alcuni frutti hanno anche una componente lipidica discreta come l’avocado (23 g/100 g) o il cocco (35 g/100g), lipidi polinsaturi quindi utilissimi per l’organismo. La frutta è un potente antiossidante, è uno scudo contro l’invecchiamento del fisico, l’arteriosclerosi e anche la cancerogenesi, proprio grazie alle vitamine in essa contenuta, come oltre alla A e C anche K ed E. Molti frutti come quelli di bosco, uva, albicocche, agrumi, prugne hanno i preziosi flavonoidi in grandi quantità. I flavonoidi sono i pigmenti cui si deve il colore dei frutti, aventi azione biologica importante nel combattere i radicali liberi. Hanno quindi azione antiossidante, migliorano l’elasticità dei vasi sanguigni e la ossigenazione dei tessuti, sinergizzano con la vitamina C che abbiamo visto essere presente nella frutta, potenziando l’azione protettiva.
Molti frutti sono anche ricchi in carotenoidi. Anche questi sono pigmenti vegetali contenuti ad esempio in melone, anguria, albicocche, pesche, prugne, agrumi. Anche i carotenoidi contrastano i radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento cellulare, ma aiutano anche a prevenire le malattie cardiovascolari proteggendo le pareti vasali. I carotenoidi si trovano peraltro anche nel mondo animale, come ad esempio nei crostacei o nel salmone. Altra azione importanti dei carotenoidi è la protezione dell’apparato riproduttivo: poco beta-carotene dà infertilità e mestruazioni irregolari, ma anche scarsa protezione contro i raggi solari.
La frutta fresca è ricca in minerali, come il potassio (indispensabile per il bilanciamento dei valori sodio/potassio per il corretto funzionamento dell’apparato cardiovascolare), calcio e ferro. Il ferro si trova principalmente nella frutta secca e disidratata, ma anche in piccola quantità nei frutti di bosco, ciliegie, fragole, banane. Il Calcio è nella frutta secca, fragole, fichi, limone, mango e mele.
La frutta secca ha invece un basso apporto di acqua e più alto contenuto in grassi. Il seme che è la parte edibile può essere conservato fresco, essicato o tostato. I grassi essenziali sono anche questi polinsaturi, soprattutto omega-6. La frutta secca, se assunta con moderazione e associata a proteine e carboidrati in maniera armonica, è una buona fonte di vitamine B, E e minerali come calcio, potassio e fosforo. E’ energetica, antiossidante, corroborante il SNC (come ad es. la mandorla) e spezza la fame.
La frutta secca è anche una fonte proteica, ad esempio 50 g di carne equivalgono in termine di proteine a 23 g di frutta secca.
Quali sono le stagionalità della frutta? In inverno arance, agrumi, kiwi, mele e pere. In primavera limoni, kiwi, mele, pere, nespole; da giugno a settembre ciliegie, albicocche, angurie, fragole, fichi, frutti di bosco, limoni, pere, mele, pesche e prugne, uva, nocciole, mandorle e pistacchi. In autunno anche cachi, castagne, noci, melagrane, kiwi, limoni, mandarini, uva.
In ultimo la frutta conservata. Il metodo più utilizzato è la disidratazione, frutta come fichi, datteri, prugne, uva e albicocche possono subire con successo questa operazione. In questa frutta la concentrazione energetica è più alta perché ricca in zuccheri, ma anche fibre, quindi di aiuto alle funzioni intestinali. La frutta candita è anch'essa frutta conservata, con un aumento dello zucchero fino al 70% perchè così diminuisce l’azione dei microbi. E’ una frutta ipercalorica, povera in vitamine, che vengono eliminate dal processo di candidatura, quindi il loro consumo è più “pericoloso” che produttivo. La frutta sciroppata è immersa nell’alcol; la frutta viene prima cotta, e questo elimina tutte le vitamine termolabili, come la C. In genere il liquido di conservazione è altamente calorico.

Abbiamo una valida alternativa al sale per insaporire i nostri piatti. Le erbe aromatiche dovrebbero essere utilizzate di più perché sono ricche in principi nutritivi, vitamine e minerali utili per aiutare la digestione. Distinguiamo le erbe aromatiche dalle spezie, le prime sono fresche le seconde sono essicate, inoltre sono piante che in genere crescono spontaneamente nei nostri climi (quelle fresche), mentre le spezie provengono dall’Africa e dall’Oriente.
Quali sono le erbe più comuni?
L'aglio, che esalta i sapori e ha il potere di controllare la pressione arteriosa; la cipolla, che è un depuratore dell’organismo; la salvia, che è in genere usata per aromatizzare la carne ma anche i formaggi e le zuppe, aiuta la digestione e contrasta i gas intestinali; erba cipollina, basilico, alloro, cappero: quest’ultimo può essere utilizzato per salse su carne e pesce; ed infine il peperoncino, ricco in capsicina con attività fitoterapeutiche, aumenta la vasodilatazione, ha proprietà digestive, aumentando la secrezione della saliva e dei succhi gastrici, ha attività antiossidanti ed anti batteriche.
Le proprietà delle erbe aromatiche sono:
- Contengono anti-ossidanti, minerali e complessi multivitaminici
- Aumentano il metabolismo, quindi bruciano naturalmente calorie a grassi
- Molti, come il peperoncino, aumentano il senso di sazietà
- Fanno diminuire il consumo di sale, quindi si riducono ritenzione di liquidi e gonfiori
- Hanno proprietà peculiari come antinfiammatori (basilico, rosmarino), migliorano la performance del sistema immunitario, come il basilico
- Aiutano il tono dell’umore, come il rosmarino e peperoncino
- Se aggiunte prima della cottura a griglia delle carni, come il rosmarino, riducono il rischio di far formare sostanze nocive cancerogene come le ammine eterocicliche durante il processo di cottura.

I dolcificanti sono usati per addolcire gli alimenti. Possono essere naturali oppure artificiali. Vediamo prima gli artificiali. I più comuni, saccarina, aspartame, acesulfame e i ciclamati. La loro origine era stata studiata per i diabetici grazie al potere calorico basso; in piccole dosi hanno la capacità di dolcificare in modo elevato e quindi possono rendere molto dolce ogni alimento o bevanda. Sono sintetizzati in laboratorio e sono ad esempio l’aspartame, 200 volte più dolce dello zucchero, cioè del saccarosio. La saccarina è dolce due volte l’aspartame.
Ma sono dannosi? Da tempo si studia su animali da laboratorio un possibile legame tra certi tipi di tumore come quelli del sangue (linfomi, leucemie), della vescica o anche cerebrali ed il loro consumo. La saccarina, già più di 30 anni fa, è stata correlata all’insorgenza di tumori vescicali. Andando vedere gli effetti sul metabolismo, forti quantità di dolcificanti sintetici (ad esempio nel consumo di bevande dolci di uso comune) determina un'alterata risposta degli zuccheri ed un aumento del peso corporeo, si è anche supposto che abbiano un'azione stimolante sull’appetito, ma ancora è da dimostrare. Usare alimenti dolcificati è pericoloso perché è una “scusa” per mangiare di più e liberamente, quindi aumentano le quantità ingerite.
Se si usa l’aspartame, mai farlo nei cibi cotti, fritti o sterilizzati, no in gravidanza o in allattamento e nella prima infanzia, consumare al massimo 30 mg/kg, ricordando che una compressa ne contiene 18 mg, è anche controindicato in una malattia metabolica, la fenilchetonuria.
Il ciclamato, la saccarina e l’acesulfame non sono da usare in gravidanza o allattamento. Le dosi di saccarina giornaliere mai oltre i 2.5 mg/kg, mai più di 5 cpr al giorno. I dolcificanti naturali sono quelli che, come il fruttosio o il miele, si trovano come tali in natura. Hanno indice glicemico più basso dello zucchero.
Cos'è l’indice glicemico? E’ la velocità con cui aumenta la glicemia dopo l’assunzione di quel particolare alimento, più alto è, più è pericoloso perché l’impennata della glicemia è più violenta e impegna l’organismo a produrre insulina per abbassare i valori, ma dopo una “ubriacatura” dolce si ha una riduzione dei valori glicemici per effetto della insulina e questo genera un circolo vizioso che porta l’organismo a richiedere altri zuccheri, che chiederanno altra insulina, il pericolo sta nel progressivo deterioramento di questo processo fino al suo esaurimento. Il fruttosio ha indice glicemico di 20, il miele di 90. Mantenere un indice glicemico senza picchi è quindi una norma buona e corretta.
Altri dolcificanti naturali sono la melassa che deriva dallo canna da zucchero, ricca in vitamina del gruppo B e minerali; il succo di acero e il sorbitolo che derivano dalle bacche e dalla prugna sorbo, quest’ultima è poco cariogena e viene utilizzata per dolcificare alcuni tipi di caramelle e le gomme da masticare. Lo sciroppo d’agave ha il potere dolcificante pari a una volta e mezzo quello del saccarosio, deriva dalla agave blu che ha origine in Messico, ed ha un contenuto di fruttosio pari al 70-90 %, con un conseguente indice glicemico più basso se paragonato al comune zucchero. I livelli elevati di fruttosio, se il consumo è elevato, lo rendono potenzialmente pericoloso per il fegato, in quanto alla lunga può favorire la steatosi, cioè l’accumulo del grassi a livello epatico, inoltre alti livelli di fruttosio inibiscono la leptina che è l’ormone della sazietà e può aumentare il livello dei trigliceridi nel sangue. Infine i metodi di estrazione e produzione dello sciroppo di agave possono comprendere agenti chimici e chiarificanti che lo allontanano dalla “naturalità”.
Lo sciroppo di acero viene prodotto a partire dalla linfa di alcune specie di acero. Viene fatta bollire per eliminare la parte acquosa e far rimanere quella più concentrata. Viene commercializzato differenziando il colore da chiaro a più ambrato. Questo sciroppo è ricco in vitamine B, colina e betaina e oligoelementi, il suo indice glucidico attorno a 50 lo colloca in una posizione privilegiata rispetto al saccarosio, lo sciroppo di agave, il miele o la melassa. E’ comunque uno zucchero liquido, quindi attenzione a bilanciare la sua assunzione in modo da non assumere troppi carboidrati di facile utilizzazione in eccesso.

Questa spezia appartiene ad una famiglia, quella delle Zingiberacee, molto popolata perché annovera almeno 90 esemplari diversi tra cui lo zenzero. La spezia più nota è la curcuma longa chiamata anche zafferano delle indie; in comune con lo zafferano ha un bel colorito giallo che rende vivaci tutte le pietanze, ma la curcuma è anche impiegata con scopi medico-curativi in integratori sia come estratto secco che come tintura. In alcune regioni dell’India ha anche un significato simbolico per le giovani promesse spose, che ne tengono un pezzetto di radice al collo come amuleto propiziatore della promessa matrimoniale.
La radice della curcuma è la parte utilizzata in genere come polvere alimentare ed è parte integrante del curry, assieme ad altri ingredienti, primo fra tutti il pepe nero, che ha la valenza di stabilizzare la curcuma quando questa viene ingerita e metabolizzata, senza pepe nero infatti la curcumina, principio attivo della curcuma, viene velocemente inattivata dal fegato. Un altro espediente è quello di coniugare la curcuma con un grasso sano, in quanto questa polvere è liposolubile, ad esempio aggiungere un po’ di olio di oliva extravergine aumenta la bio disponibilità di questa radice; anche la cottura quindi il calore migliora l’assorbimento e l'attivazione della curcuma, quindi via a gustosi piatti caldi sia a base di carboidrati che di proteine, irrorati da olio di oliva e una spruzzata di pepe nero.
Di curcuma ne basta poco al giorno, è stato calcolato che della radice in povere è sufficiente un quantitativo pari a 2-3 grammi, in pratica un cucchiaino da caffè scarso.
In questo piccolo quantitativo si trovano comunque elementi interessanti come potassio, calcio, ferro, vitamina C, B6, magnesio e i preziosissimi polifenoli, quindi la curcuma ha qualità antinfiammatorie, aiuta il corpo a espellere le tossine agendo come un depuratore dell’organismo; grazie anche all'azione coleretica, cioè di stimolo delle produzione della bile, aiuta nella digestione. Può essere utilizzata nei diabetici perché non ha zuccheri, anzi agisce come un regolatore del metabolismo glucidico, ma sono state anche indicate proprietà immunostimolanti e anti tumorali, oltre che anti batteriche e antisettiche. Insomma un vero toccasana, non stupisce che sia una spezia molto utilizzata da una nazione popolosa come l’India che ne apprezza le qualità da secoli.
Oltre che in cucina è possibile preparare bevande come ad esempio delle tisane che vengono molto apprezzate soprattutto quando si viene colpiti da fastidiose patologie respiratorie. E’ bene quindi preparare un infuso in acqua calda con un cucchiaino di curcuma in polvere, il succo di un limone, una spruzzata di pepe nero e un cucchiaino di miele integrale. Si può anche utilizzare la radice fresca, bastano 5 grammi da far bollire per almeno 5 minuti, lasciando poi riposare per 10 minuti.
Un altro consiglio, soprattutto per sfruttare la sua azione antinfiammatoria, è quello di creare l’olio di curcuma, dosando 25 grammi in 100 ml di olio come quello di mandorle, mescolando il tutto e lasciando in un barattolo di vetro allo scuro per almeno 10 giorni. Utile per combattere i dolori articolari e la cellulite.
La curcuma può diventare un potente alleato per la salute, già lo sapevano gli antichi greci che la citavano nei loro testi medici, ma nel corso dei secoli anche illustri personaggi come Paracelso, padre della medicina spagirica, la indicavano come un potente alleato per alleviare i problemi epatici.
Quindi perché non approfittare di questa regina delle spezie chiamata anche “oro dell’India”: comunque utilizzata promette vantaggi e benefici con un costo trascurabile e un minimo sforzo di preparazione.

Dopo aver parlato di acqua, vediamo il mondo delle bevande, intendendo come tali gli alcolici, i superalcolici e le bibite. Una distinzione da fare tra alcolici e superalcolici sta nel grado alcolico, per alcol si intende bevande fino ai 20 gradi, come vino, birra, champagne etc; i superalcolici sono distillati come liquori, gin, vodka, whiskey etc.
L’energia che liberano è elevata, ben 7 Kcal/gr. Non sono purtroppo dei nutrienti, generano le cosiddette calorie vuote perché non vengono registrate come tali nel centro della sazietà dell’ipotalamo, quindi non danno sazietà per cui è un'aggiunta di calorie su calorie provenienti da altre fonti, come ad esempio il cibo del pasto o i famigerati e pericolosi stuzzichini. Le calorie che derivano dall’alcol sono dissipate in calore e se sono in eccesso contribuiscono a formare il tessuto adiposo, soprattutto quello interno, gli antiestetici cuscinetti in vita e all’altezza dello stomaco sono espressioni tipiche di chi abusa di queste bevande. In più l’alcol blocca la fisiologica disgregazione del tessuto adiposo (lipolisi) e quindi si prende peso.
Le donne tollerano meno bene l’alcol rispetto al sesso maschile perché la quantità dell’enzima alcol deidrogenasi che serve per degradare l’etanolo nel corpo è di un quarto inferiore, quindi anche dosi basse di alcol possono avere degli effetti più evidenti e fastidiosi.
Ma allora un bicchiere di vino si o no ai pasti?
Un bicchiere a pasto può gratificare il palato ma la scusa che aiuta a combattere l’aterosclerosi non è proprio del tutto vera. E’ corretto che il vino è ricco di polifenoli che derivano dall’uva, soprattutto quella rossa, che ha un processo di macerazione più lungo, ma è anche vero che la quantità di queste preziose sostanze dovrebbe essere molto più alta per sortire un effetto veramente positivo, per cui bisognerebbe bere almeno un paio di litri al giorno e quindi pensiamo al carico calorico inutile per un beneficio minimo che si può ottenere in altri modi, come ad esempio mangiando l’uva direttamente.
Attenzione poi ad un componente del vino, i solfiti, alcune persone ne sono allergiche o possono sviluppare una intolleranza. I solfiti sono degli additivi usati in campo alimentare e farmaceutico per conservare e per ridurre l’imbrunimento di molti cibi. Oltre al vino possono essere presenti nei prodotti di salumeria, nella birra, nei succhi di frutta e nella frutta come quella disidratata o le marmellate, nella frutta secca.
Un uomo di 70 kg al massimo dovrebbe assumerne 50 mg, 330 ml di vino raggiungono già questo valore limite.
Per quanto concerne le bevande dolci gassate o anche “lisce” come il tè freddo, anche loro apportano calorie, hanno zucchero, sia in forma di saccarosio che glucosio o destrosio, spesso si bevono anche 100 g di zucchero senza accorgersene. Essendo l’indice glicemico degli zuccheri in forma liquida più alto di quello in forma solida, è un ulteriore stimolo a creare nuovo tessuto adiposo, ciò vale anche per i succhi di frutta confezionati, che di frutta ne hanno ben poca e sono anche ricchi in conservanti quindi estremamente dannosi se si consumano abitualmente.
Bevande ipocaloriche o light sì allora?
Purtroppo il dolcificante in esse contenuto attiva il riconoscimento da parte del cervello di sostanza dolce quindi dello zucchero, stimolando ormoni e enzimi che bloccano la lipolisi, cioè la scissione del tessuto adiposo, ma la promessa di zucchero non si avvera, non arriva a destinazione perché non c’è e quindi c’è un calo della glicemia con uno stimolo a “bloccare” il calo degli zuccheri mangiando o bevendo qualcosa di dolce e riempiendo questa situazione di vuoto.
Attenzione anche all’assuefarsi (alzare la soglia gustativa) al sapore dolce, renderà più difficile gustare cibi che gusto dolce non hanno e che sembrano quindi insipidi.

L’acqua è un elemento importante ed indispensabile, presente nel 50-70% della massa corporea dell’adulto, nel bambino in una percentuale maggiore mentre inferiore nell’anziano, che è sempre a rischio di disidratazione perché non sente la sete. In generale l’acqua deve essere consumata in quantità e qualità adeguata, per convenzione 1 ml ogni caloria introdotta (quindi 2000 calorie 2 litri), ma deve essere distribuita lungo la giornata, non bevuta quando ci si ricorda dopo una fase di secchezza, anche prolungata. Un esempio di corretta idratazione è ad esempio ricordarsi di bere 1 bicchiere di acqua ogni ora della giornata attiva.
Naturalmente il fabbisogno di acqua varia in base a clima, umidità, sudorazione e attività fisica.
L’acqua ha un ruolo nella digestione, quando il bolo alimentare deve essere metabolizzato e assorbito nell’intestino. I liquidi del nostro corpo sono molto importanti: la salivazione, i succhi gastrici, il succo pancreatico e la bile beneficiano di un corretto apporto di acqua dall’esterno. E’ necessario che siano supportati da un corretto introito d'acqua in quanto richiedono acqua per essere secreti, un pasto eccessivamente secco richiama acqua dall’interno.
Acqua ai pasti si o no?
Prima dei pasti bere uno o due bicchieri di acqua per preparare i succhi e l’intestino al lavoro digestivo. Durante i pasti si, perché aiuta anche a raggiungere il senso di sazietà e a non ingurgitare più cibo, dopo il pasto si se si vuole evitare la sonnolenza post prandiale.
L’acqua fa dimagrire?
Purtroppo no, non aumenta il metabolismo del corpo, come invece fanno le sostanze nervine.
Quindi è opportuno bere durante l’arco della giornata, ma meglio non esagerare, perché:
1 Ii succhi digestivi si diluiscono troppo con eccessive quantità di acqua.
2 Dopo essere transitata nell’intestino viene riassorbita e fa carico sulla massa circolante.
3 Diluisce gli elettroliti come il sodio e scombina l’equilibrio idro-elettrolitico.
Quindi non fa dimagrire ma aiuta a dimagrire, nel senso che è ipocalorica e da preferire alle altre bevande, aumenta il senso di sazietà. Bere poco non fa eliminare le tossine e queste possono depositarsi nel tessuto adiposo, perché sono lipofile. Bere troppo diluisce il sodio, come si è detto, e questo causa un esagerato riassorbimento di acqua a livello renale, con imbibizione dei tessuti e aumento della pressione, attenzione anche dopo lo sforzo fisico, la reidratazione deve tenere conto anche dei minerali. Bere troppo può portare emicrania, malessere, confusione, nausea. Bere più di 9.5 litri al giorno causa una situazione grave chiamata encefalopatia natriuretica.
Meglio l’acqua con basso residuo fisso, cioè minimamente mineralizzata. E' un parametro per valutare la leggerezza dell’acqua, più basso è, più leggera e pura è l’acqua. Fino a 50 mg le acque sono minimamente mineralizzate, fino a 500 sono oligominerali, da 500-1000 sono mediamente mineralizzate, fino a 1500 fortemente mineralizzate.
I Sali contenuti sono inorganici e quindi non assorbiti o utilizzati dall’organismo, ma si depositano con uno sforzo supplementare da parte del corpo per liberarsene. In generale le acque di alta montagna hanno un basso residuo fisso, es la Lauretana, che ha 14. Sotto i 50 va bene, fino a 100 è buona,oltre i 1200 è meglio evitare,
Attenzione anche alla durezza dell’acqua, se è molto dura i Sali di calcio contribuiscono alla renella e ai calcoli, insieme agli ossalati come quelli presenti nei vegetali, gli spinaci, barbabietola, rabarbaro etc.
Quale pH?
Meglio una acqua a pH alcalino, cioè maggiore a 7, questo per sfruttare l’azione contrastante l’acidità presente nei tessuti ed evitare che il nostro organismo ricorra ai sistemi tampone per questa azione e quindi si impoverisca di oligoelementi essenziali come il Calcio, ad esempio, indebolendo così il nostro tessuto osseo.
Con gas o senza?
Il gas addizionato può dare fastidio ad un intestino meteorico o infiammato, meglio in questo caso naturale.
Calda o fredda?
Mai consumare un liquido troppo freddo o caldo, il freddo non fa funzionare bene le cellule di parete e fa contrarre le pareti del nostro apparato digestivo, il troppo caldo le può danneggiare in maniera irreversibile e alla lunga causare problemi più gravi.