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Elisabetta Ravera - MioDottore.it

Malattie e alimentazione - focus su:

Prima di iniziare a parlare della ormai purtroppo famosa pandemia è doverosa una puntualizzazione: benché medico non sono una illustre infettivologa o scienziata del settore, ma cerco di approcciare questo problema sanitario dalla parte degli uomini e donna “di strada” che sono bersagliati ogni giorno da numeri, report televisivi e in rete, nonché da polemiche e fake news.

Ormai in letteratura scientifica, per intenderci non gli articoletti che si leggono in internet ma su riviste scientifiche indicizzate, ci sono centinaia e centinaia di lavori che parlano del virus Sars Cov2 e della Covid, malattia che tutti noi purtroppo conosciamo.
Oggi non vi parlerò nel dettaglio di terapia né di vaccini, purtroppo anche qui non ci sono certezze, solo esperienze sul campo tradotte poi in numeri e studi clinici ancora in corso, come nel caso dei vaccini.
Invece vorrei parlare di come cercare di evitare di infettarsi. Certo, ci sono stati articoli su articoli nei giornali, spot televisivi ma, evidentemente, il messaggio è passato inascoltato o forse non capito appieno.

Tanto si è parlato di goccioline di saliva o droplets (a noi piacciono i termini anglosassoni!) ma con forse un po’ di confusione. Intanto tutti noi emettiamo goccioline microscopiche di saliva quando parliamo o respiriamo se a bocca aperta, ne emettiamo di più se parliamo o peggio, cantiamo o urliamo o facciamo esercizio fisico. Ci sono 2 tipi di goccioline, uno più grande (a tutti è capitato di vedere “sputacchiare” mentre si parla) e uno più piccolo. Le goccioline più grandi in genere, essendo più pesanti, tendono a cadere vicino a dove sono emesse, mentre quelle più piccole rimangono in sospensione da minuti anche ad ore, e seguono la corrente dell’aria. Quindi in ambienti diversi avranno un comportamento diverso, va da sé che in ambiti poco areati permarranno per tempi più lunghi in sospensione che all’aperto. Può quindi succedere di inalare droplets infette in un ambiente anche quando la persona malata che le ha emesse non è più presente, avendo lasciato il luogo di emissione. Per malattie virali molto contagiose come varicella, morbillo o rosolia è possibile contrarre il virus anche in questo modo. Sembra invece che Sars Cov2 si comporti come altri virus respiratori, quindi la contagiosità dipende da un contatto diretto e ravvicinato o comunque con una distanza inferiore ai 2 metri.

Un soggetto che ancora non manifesta i sintomi, quindi è pre-sintomatico o è pauci sintomatico, quindi ha magari un sintomo banale, ad esempio un lieve rialzo termico o cefalea o stanchezza, è già contagioso ed è qui che il contagio ha la sua massima espressione, perché non suscita allarme in chi sta vicino alla persona infetta. Allora come fare per prevenire il pericolo?
Tre sono le manovre da implementare e seguire: prima fra tutti l’uso della mascherina, che viene indicata da tutte le pubblicazioni scientifiche come indispensabile. Ovviamente il corretto uso della mascherina, che deve coprire bocca e naso, tutte le mascherine vanno bene, dipende poi dal tipo di ambiente dove ci si può trovare, se particolarmente affollato, meglio la FFP2, se per fare una passeggiata o in casa, va bene anche la chirurgica. A questo proposito voglio riportare un aneddoto personale: a marzo all’inizio delle restrizioni per la emergenza Covid ho visitato una paziente in un ambulatorio privo di finestre, dove l'aereazione proveniva da un sistema di ricircolo dell’aria. La signora era una OSS, lavorava in una RSA cittadina. Durante l’ora di visita, distanza inferiore ai 2 metri, io indossavo una chirurgica, la signora era senza (non era ancora obbligatorio), la paziente ha iniziato a tossire, una tosse secca molto particolare. Un po’ allarmata ho provato a indagare, ma la signora era categorica, non aveva la febbre mi ha detto, solo “un po’ di raffreddore”. Dopo 2 giorni la contatto per sapere come va la dieta e la paziente mi comunica che “ha un po’ di influenza”. Ho poi saputo che è stata ricoverata in ospedale fino alla rianimazione per Covid. Ebbene non avendo avuto nessun sintomo né malessere e dopo essermi sottoposta al dosaggio quantitativo degli anticorpi, risultato negativo, posso dire che la mascherina mi ha salvata o, perlomeno, ha contribuito a farlo.
Quindi mascherina sempre, sarebbe meglio anche con i propri congiunti e amici, molti contagi avvengono proprio nell’ambito casalingo, quindi massima attenzione.

Le altre due cose da fare sono la massima igiene delle mani e il distanziamento, visto che il virus può essere presente nel raggio di 2 metri. Evitiamo quindi i luoghi troppo affollati o chiusi con areazione non ottimale.
Evitiamo di toglierci la mascherina quando si parla e invitiamo chi lo fa di riposizionarla correttamente: un minuto di discorso libera un minimo di 1000 virioni, particelle virali.

A questi 3 cardini aggiungo un quarto, da buona dietologa: curiamo il nostro fisico mantenendolo alla massima efficienza possibile, quindi un'alimentazione sana, magari integrata da un supplemento di vitamina D, di cui soprattutto nei mesi invernali siamo carenti. Infatti è stato visto che i malati Covid più critici erano proprio quelli più carenti di questo ormone. Quando poi parlo di alimentazione e di buona efficienza fisica alludo al fatto che i pazienti più a rischio di complicanze sono gli obesi o chi è fortemente in sovrappeso, i diabetici o i dismetabolici, gli ipertesi o i cardiopatici. A queste condizioni si arriva proprio perché si trascura il proprio fisico, fatto di uno stile di vita sano, vale a dire un minimo di attività fisica e una sana e buona alimentazione.

E se nonostante tutte le nostre precauzioni ci ammaliamo? Non andiamo nel panico ma seguiamo poche semplici regole, anche seguiti, si spera, da un medico competente. Non tutte le Covid hanno un decorso tragico, molte passano come una influenza o una forma virale anche più lieve. Monitoriamo la temperatura e la saturazione di ossigeno, alcuni farmaci possono essere assunti da subito (paracetamolo, antinfiammatori) altri dopo alcuni giorni, in genere 3-5 dall’inizio dei sintomi e sempre sotto controllo medico (antibiotico, cortisone e antiaggregante).
Concludo con una frase attribuita a Ippocrate, padre della medicina: “Ci sono nei fatti due cose: scienza ed opinione: la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza”, parole sempre attuali anche oggi nella nostra, sofferta, era tecnologica.

Da qualche settimana si susseguono notizie relative alla pericolosità dell’integratore a base di curcuma per avvenuta segnalazione di un numero significativo di epatiti non virali, quindi non contagiose, ma che hanno causato una colestasi, cioè un'infiammazione acuta del tessuto epatico con danno nella produzione e nella circolazione della bile. Senza ombra di dubbio la curcuma è stata pubblicizzata in questi ultimi anni come un toccasana, dotata di poteri quasi magici e per questo motivo quasi tutte le aziende produttrici di nutraceutici hanno sfornato il loro prodotto, variamente accoppiato con altri fitoterapici.

Intanto cos'è la curcuma? La curcuma è una spezia dal colore giallo-arancio e dall'aroma penetrante, molto utilizzata nella cucina indiana. La polvere di curcuma è uno degli ingredienti del masala che noi chiamiamo curry, a cui dà il colore giallo intenso e caratteristico. E’ proprio l’India il produttore più autorevole di questa spezia, che viene utilizzata per diverse ricette. Ad esempio è un ingrediente fondamentale del piatto nepalese chiamato momos (gnocchi nepalesi a base di carne), o del piatto tailandese chiamato kaeng tai pla (curry con gamberi e pesce).

curcuma4La curcuma (curcuma longa) è una pianta dotata di fiori colorati dal cui rizoma, un fusto carnoso simile a una radice, si ricava la spezia (previa polverizzazione). E' cugina della pianta da cui si ricava lo zenzero. Il termine curcuma trae origini dalla lingua sanscrita "kum-kuma" e dall'arabo "kour-koum", che significa appunto zafferano, per via della sua somiglianza con questa spezia; ha infatti lo stesso colore giallo vivo, ma un aroma diverso. In Occidente la si utilizza soprattutto in cucina sia per colorare i piatti che per sfruttare le sue potenzialità terapeutiche, infatti fino a questo incidente di percorso la sua azione di normalizzazione delle funzioni intestinali ed antinfiammatoria era auspicata per trattare in modo naturale le malattie infiammatorie croniche (da quelle intestinali a quelle articolari), per prevenire i tumori e per riequilibrare l’apparato digerente, contribuendo alla salute di stomaco - fegato  e per normalizzare il colesterolo prodotto proprio dalla ghiandola epatica.

La curcuma è da sempre utilizzata dalla medicina tradizionale cinese e nell’ayurveda per riequilibrare i meridiani di stomaco, milza e fegato; inoltre, secondo questa medicina tradizionale, rende il sangue più fluido e cura i disturbi femminili. L’ayuveda consiglia di disintossicarsi al mattino a digiuno bevendo un cucchiaino di polvere nell’acqua.

E’ però importante sottolineare che l’assorbimento a livello intestinale del rizoma non è così scontato e quindi è difficile capire quanto principio attivo venga effettivamente utilizzato per ottenere tutte queste azioni benefiche sull’organismo. Alcuni accorgimenti, quali associare la curcuma al pepe nero o all’olio bollente, sembrano aiutare, perlomeno questo è quanto si trova nei vari siti in rete.

Ecco allora che gli integratori costituiti da estratto secco di rizoma sono stati impiegati dall’industria per potenziare l’effetto della curcumina, che è il principio attivo più importante, cui si devono principalmente i benefici effetti. Per potenziarne l’azione in genere si associa con piperina, che si è visto potrebbe aumentare la concentrazione in modo esponenziale proprio a livello del fegato e quindi, magari in soggetti predisposti, favorire un danno piuttosto che un beneficio.

Quindi cosa fare, sospendere l’uso della curcuma oppure proseguire nella ricerca del benessere con questo integratore? Qui deve prevalere il buon senso, in cucina può essere utilizzata senza problemi, ma in via cautelativa sospenderei gli integratori a base di curcuma proprio perché si stanno facendo controlli a tappeto da parte delle Autorità e il numero dei prodotti messi fuori commercio sta aumentando. Abbiamo altre sostanze che possono aiutare per i diversi problemi cui si rivolge la curcuma, quindi indirizziamo la nostra scelta verso altri lidi, in attesa che venga fatta definitivamente chiarezza.

Tutti siamo preoccupati del grasso che cresce sul nostro addome o cosce, ma nessuno mostra preoccupazione se i depositi adiposi aumentano tra i nostri organi interni, avvolgendoli in un abbraccio molto pericoloso. In particolare è da temere il cosiddetto fegato grasso, spesso segnalato nel corso di una ecografia addominale e rilevato grazie ad una immagine iper-riflettente, che è la spia del fatto che i depositi lipidici si sono fatti strada anche attraverso gli spazi tra le cellule epatiche.

Perché non è da sottovalutare? Il nostro fegato è un potente organo che esplica un sacco di funzioni metaboliche e di disintossicazione. Molti farmaci subiscono una degradazione proprio a livello epatico, il colesterolo e i trigliceridi vengono prodotti qui dalle operose cellule che compongono questo organo. Ma non è finita, nel fegato si produce la bile, che è indispensabile per il metabolismo dei cibi e per la loro trasformazione in energia. Molti ormoni sono sintetizzati qui; nel fegato si deposita il glicogeno, fonte importante di energia per tutti i nostri muscoli e per il cuore, il ferro e la vitamina B12. Il fegato è però suscettibile agli stress causati dalle infezioni virali, dal consumo di alcol, dal fumo e dai farmaci o dalle droghe, ma è anche sensibile agli stravizi alimentari che causano un'infiammazione cronica, con lesione e distruzione delle cellule epatiche.
Quando il girovita si allarga e compare una più o meno prominente pancetta, è segno che qualcosa non va e che il nostro fegato sta soffrendo. Le cellule che lo compongono dovrebbero contenere solo il 5% di grasso per essere in buona salute, ma si può arrivare ad osservare infarcimenti sempre più grandi fino al 70-80%. Questo si traduce in una riduzione dell'efficienza di questo organo, fino a quando il poverino alza bandiera bianca: senza fegato non si può vivere e chi ha un'insufficienza epatica è fortemente a rischio di morte.
Chi è quindi da tenere sotto controllo? Gli obesi, i diabetici, coloro che hanno una dieta ipercalorica, ricca in zuccheri semplici e grassi malsani, con scarsa attività fisica. Il fegato malato condiziona anche la funzionalità dei vasi, del cuore e del cervello, con rischio di infarti cardiaci o cerebrali.
E’ quindi opportuno un occhio al girovita che per essere sano non dovrebbe superare i 94 cm negli uomini e gli 80 cm nelle donne, da allarme rosso se sale a 102 cm e 88 cm rispettivamente nell’uomo e nella donna, chi ha questi valori ha già probabilmente una sindrome metabolica, anticamera del diabete e un'aumentata resistenza all’insulina.
Cosa fare per evitare che i buoi scappino del tutto? Evitare diete incongrue ma aumentare l’ingestione di verdura e anche di frutta, di cereali integrali, riducendo i cibi spazzatura, i grassi trans, contenuti nei fritti e nei soffritti, o i grassi saturi di origine animale, limitando il consumo di superalcolici e di alcolici.

Aumentare invece lo sport o fare una salutare camminata.

Tutto qui, un piccolo prezzo da pagare per avere un fegato sano, una vita in salute e, perché no? un fisico più asciutto e scattante.

Una dieta sana ed equilibrata è auspicabile non solo per avere un fisico tonico e in buona salute ma anche per fare barriera a malattie che colpiscono distretti del corpo ben lontani da quello digestivo.
Mi riferisco ad esempio all’apparato osteo-muscolo-articolare. Quanti di noi sono afflitti da dolori articolari, apparentemente senza un motivo o peggio quanti hanno una patologia articolare infiammatorio-degenerativa?

E’ di recente sottolineatura nella letteratura scientifica come alcuni alimenti innalzino gli indici tipici della infiammazione e altri invece li spengano; alcuni parametri dosabili a livello ematochimico, quindi le comuni analisi del sangue, sono correlati ad una maggiore o minore sensibilità al dolore. Ad esempio una vitamina D bassa abbassa la soglia al dolore, ma anche un'idratazione non sufficiente (da qui il consiglio di noi nutrizionisti di bere un adeguato quantitativo d'acqua, soprattutto nelle fasce più anziane della popolazione dove il senso della sete è inesistente e dove il dolore articolare è molto più percepito).

Anche prima che la letteratura scientifica se ne occupasse ho avuto modo di riscontrare in alcuni miei pazienti quanto siano stati veri i dati riportati dalle revisioni degli studi clinici osservazionali. Ad esempio una signora di 67 anni che è giunta al mio studio per perdere peso, essendo in sovrappeso con BMI 29 (valori normali inferiori a 25), era afflitta da spondilite anchilosante, una patologia infiammatoria cronica deformante soprattutto la colonna vertebrale. Questa mia paziente aveva una dieta molto ricca in grassi e proteine animali e farinacei, in particolare prodotti da forno. Dopo 40 giorni di regime dietetico in cui erano stati pesantemente ridimensionati gli alimenti di cui si cibava usualmente, accanto ad un'adeguata idratazione, la signora aveva avuta una riduzione del dolore nettissima, ma anche i parametri ematochimici dell'infiammazione, da sempre molto elevati, si erano tutti abbassati, alcuni anche entro i valori della normalità, tanto da far gridare al miracolo da parte della collega reumatologa che curava da tempo questa mia paziente.

Quali indicazioni allora seguire proprio per prevenire o curare l’infiammazione e quindi abbattere la sensazione dolorosa?
Si parte proprio dall’acqua, non meno di 2 litri al giorno, evitando tutte le bevande dolci o i superalcolici. Poi 5 porzioni tra verdura e frutta, verdura abbondante meglio se cruda o cotta al vapore, per evitare la perdita dei preziosi minerali. E i carboidrati? In una giornata 3 porzioni, suddivise tra pane e pasta, meglio se integrali, aggiungere anche semi come lino, chia (ricchi in omega 3) che spegne l'infiammazione, e una porzione di grassi buoni presenti nella frutta secca, sempre con moderazione; erbe aromatiche come salvia o rosmarino e spezie come curcuma o zenzero a piacere.

E le proteine? Riduciamo le proteine animali più impegnative, come la carne, anche bianca oltre che rossa, e il latte di mucca con i formaggi: limitiamo la carne rossa ad una porzione a settimana, due volte invece a settimana per quella bianca, come 2 volte a settimana le uova e i formaggi a basso contenuto di grassi; invece del latte consumiamo ogni giorno uno yogurt bianco o il kefir ricco di fermenti vivi, aumentiamo a 4 le porzioni settimanali di pesce e di legumi che non sono un accompagnamento di altre proteine ma hanno la loro dignità di piatto proteico.

Tutti i dolci dovrebbero essere consumati solo occasionalmente, quindi salutiamo torte, biscotti, gelati, brioche etc. e concediamoceli solo in corso di eventi eccezionali.

Osservando questi pochi principi è molto probabile che l’infiammazione e il conseguente dolore venga presto dimenticato, ricordiamo che siamo quello che mangiamo, quindi cerchiamo di mangiare bene.

Spesso si attribuisce all’aumento di peso sintomi e condizioni morbose che invece hanno una genesi diversa, anche se in parte imputabile ad una alimentazione scorretta. E’ il caso di questa giovane paziente che ho seguito dal punto di vista nutrizionale nell’autunno dello scorso anno.

Mara è una giovane donna di 33 anni che giunge nel mio studio per ritrovare la linea perduta dopo la recente e prima gravidanza. Durante i 9 mesi di attesa aveva aumentato il suo peso di circa 18 kg e dopo il parto, complice l’allattamento e una mamma troppo premurosa e buona cuoca, aveva perso solo 3 kg.
Come di consueto chiedo alla mia paziente se ha anche disturbi o malattie clinicamente rilevanti. In generale Mara gode di buona salute, riferisce però degli episodi di “mal di schiena”, in particolare dopo aver mantenuto a lungo la postura eretta, dolori non acuti piuttosto sordi e continui che tendevano a lateralizzarsi su un fianco, di preferenza il sinistro. Questa sensazione fastidiosa era continuata anche durante la gravidanza e come tale era stata interpretata come un affaticamento per l’aumento del carico addominale. Dopo il parto questa sensazione è continuata ma con un intervallo maggiore tra gli episodi.

Sempre durante il colloquio la mia paziente mi confida una difficoltà ad avere una funzione intestinale regolare, prevalentemente caratterizzata da stitichezza e frequenti episodi di “cistite”, bruciori ad urinare e la constatazione qualche volta di emettere una urina più densa.

All’esame del diario alimentare emerge la netta propensione di Mara di alimentarsi con una grande varietà di latte vaccino, yogurt e formaggi (“latte crea latte”), ritenuti importanti per la salute sia durante la gravidanza che l’allattamento. Il latte e i latticini erano comunque graditi anche prima dello stato gravidico, spesso consumati quotidianamente. Nell'alimentazione della mia paziente non manca mai la carne rossa, spesso associata nello stesso pasto ai latticini, poco o niente legumi, verdura e frutta in prevalenza cotta (“per la stitichezza”) e grandi pastasciutte. Qualche peccato dolce, in particolare la cioccolata al latte declinata in tutte le sue forme (torte casalinghe e biscotti amorevolmente cucinati dalla mamma).
In termini di idratazione la mia paziente preferisce le bevande dolci e gassate all’acqua semplice, in alternativa il tè, soprattutto quello in bottiglia confezione industriale, mi confessa inoltre che le piace mangiare “saporito” quindi tende ad aggiungere sale a tutti gli alimenti.

Dopo l’esame clinico e dei parametri antropometrici, che confermano che la mia paziente è in sovrappeso, con un Body Mass Index di 28, quindi molto impegnativo, rimando Mara ad un nuovo appuntamento con la consegna della dieta. Il giorno prima del nostro secondo incontro Mara mi telefona, avvisandomi che ha febbre e nausea con alcuni episodi di vomito, inoltre non riesce a mantenere una postura eretta per un forte dolore al fianco sinistro che si irradia all’addome. Il medico di famiglia le ha prescritto dei rimedi per i sintomi gastroenterici e degli antidolorifici non ritenendo, dopo la visita, che ci sia la necessità di un ricovero in ambiente protetto, rimandando ulteriori considerazioni al referto di un'ecografia che le prescrive e che io le sollecito di fare.

Dopo qualche giorno la mia paziente mi richiama, ha il referto dell'ecografia che evidenzia come ci siano delle piccole formazioni calcolose sia a livello renale che in vescica, ecco spiegato l’origine dei disturbi che hanno afflitto Mara per un sacco di tempo.
I calcoli sono delle formazioni solide che possono avere la consistenza di una pietra e che tendono ad accrescere di dimensioni potendosi formare ovunque nel tratto urinario., anche se in generale i reni sono la sede prediletta, possono rimanere dove si sono formati, soprattutto se sono “a stampo” nelle strutture anatomiche del rene, ma da qui possono migrare verso il basso e causare, durante il loro spostamento, sintomi molto fastidiosi e dolorosi, fino alle temute coliche.
Quando si forma una sabbiolina che non ha la consistenza e le dimensioni dei calcoli urinari allora si parla di renella che è una forma meno grave di calcolosi ma che comunque rappresenta un campanello di allarme da non sottovalutare.
I calcoli non devono essere presi sottogamba perché oltre a dare fastidio e compromettere lo stato di salute possono ostacolare il flusso dell’ urina, creando una pressione a monte e distruggendo cosi tessuto renale, riducendone la funzione in maniera progressiva.
Quando si formano i calcoli? E’ possibile una predisposizione a svilupparli quando sono presenti nella storia anamnestica di altri familiari, alcuni fattori aumentano il rischio di sviluppare la calcolosi renale come una inadeguata idratazione o l’aumento di sostanze nell’ urina come il calcio, ossalato e acido urico, oppure l’aumento del quantitativo di sodio e un basso livello di citrato nel sangue.

La dieta gioca un ruolo molto importante nello sviluppo dei calcoli urinari, in particolare per i pazienti la cui dieta ha un elevato contenuto di sodio, grassi animali, carne rossa, zuccheri semplici e poche fibre.
La composizione chimica dei calcoli è importante perché orienta anche sulle corrette indicazioni nutrizionali da dare.
I più frequenti sono i calcoli contenenti calcio, che sono circa l’80-85% della casistica. Il calcio viene filtrato a livello renale ed espulso con l’urina, soprattutto se è in quantità eccessiva nel sangue e i meccanismi regolatori della omeostasi calcica vengono a meno. Il calcio poi si può aggregare ad altre sostanze, come l’ossalato.

Il calcoli di acido urico derivano dalla digestione delle proteine, quando è troppo elevato e non riesce a sciogliersi nella urina, si aggrega formando calcoli. I calcoli di acido urico sono meno frequenti di quelli di calcio e più comuni nel sesso maschile. Le donne invece hanno una maggiore incidenza di calcoli di struvite, questi sono chiamati anche “calcoli da infezione” perché si sviluppano quando un’ infezione dell’apparato urinario altera l’equilibrio chimico e l’acidità dell’ urina. In corso di infezioni come la cistite i batteri producono sostanze che neutralizzano l’acidità dell’ urina, alcalinizzandola troppo e questo crea le basi per la formazione di questi calcoli. Infine molto rari sono i calcoli di cistina, un aminoacido che si accumula in corso di una malattia ereditaria chiamata cistinuria.

La diagnosi di calcolosi urinaria si avvale di una anamnesi accurata e di esami strumentali come l’ecografia e l’urografia con mezzo di contrasto e degli esami di laboratorio, in particolare delle urine per evidenziare se è presente un'infezione urinaria. Infine è molto importante analizzare la composizione dei calcoli per poter anche orientare le indicazioni dietetiche.
Nel caso di Mara il verdetto è stato di calcoli di ossalato di calcio, in questa situazione è importante evitare il più possibile alimenti ricchi in ossalato e in calcio, quindi, con grande dispiacere della mia paziente, niente latte animale, yogurt e formaggi, da ridurre anche il sale negli alimenti, che favorisce l’aumento del calcio, e la carne rossa, ll cui consumo eccessivo rende le urine troppo acide, con un incremento della quota di calcio e acido urico eliminata attraverso i reni. Anche un consumo eccessivo di dolci e quindi di zucchero aumenta l’ eliminazione di calcio nelle urine.
L’ossalato è contenuto in alte quantità nel cacao e cioccolato, tè, ma anche in legumi come i fagioli, in ortaggi come gli spinaci, barbabietole, zucca e pomodori verdi.

Per l’acido urico in eccesso sono da evitare cibi ricchi in purine come acciughe, sardine, aringhe, fegato, rognone, anche l’alcol e i superalcolici aumentano l’escrezione urinaria sia di acido urico che di ossalati.

Che cosa fare per una corretta alimentazione in chi ha i calcoli renali?
Intanto una corretta idratazione, quindi aumentare l’apporto idrico giornaliero con acqua, possibilmente a basso residuo, vale a dire inferiore a 50 mg, evitando le bevande zuccherate o ricche in ossalati come il tè e le cioccolate liquide. Come regola generale la dose di liquido più indicata sono almeno 2 litri al giorno, nei casi in cui le recidive sono più frequenti è opportuno aggiungere da mezzo litro a un litro di acqua in più, avendo l’accortezza di bere distribuendo le bevande nell’arco delle 24 ore.
Ridurre il sale da cucina senza aggiungerlo agli alimenti è una buona norma, i cibi sono in generale già salati di loro, se si vuole rendere più gustose le pietanze è consigliato utilizzare le erbe aromatiche come la salvia o il rosmarino; da evitare anche i prodotti alimentari confezionati industrialmente perché in genere abbondano di sale e i cibi conservati in scatola e sotto sale. Evitare i salumi e gli insaccati, gli asparagi, bietole, cardi, cavoli, legumi, spinaci, rabarbaro, sedano, indivia, scarola, porri, frutta secca, fragole e frutti di bosco, privilegiare alimenti ad alto contenuto di fibre, come le verdure fresche, la frutta, alimenti proteici come pesce, uova e carni bianche con moderazione, carboidrati complessi come pasta e riso integrali, infine può essere utile alcalinizzare le urine, ma non troppo, perché anche l’ eccessiva alcalinizzazione può essere nociva, quindi una buona spremuta di agrumi in cui non deve mai mancare il limone è consigliata a questo tipo di pazienti.

Nel nostro caso Mara ha dovuto cambiare radicalmente la sua alimentazione, evitando tutti i cibi cui era abituata e particolarmente dipendente, ma i suoi sforzi sono stati premiati con una riduzione significativa del peso; ai controlli recenti non ha più lamentato la situazione gravativa e dolorosa della schiena e non ha avuto più coliche, questa dieta dovrà essere sempre continuata e mai sospesa, per evitare pericolose ricadute.

Quando i pazienti varcano la soglia del mio studio e si siedono di fronte a me, generalmente iniziano a parlare del loro rapporto con il cibo e del loro aspetto fisico, ma mai raccontano spontaneamente se hanno dei problemi di salute o se ci sono delle patologie concomitanti. Conoscere la storia del paziente è invece molto importante per impostare un corretto regime dietetico. Non sempre i disturbi sono banali e le malattie concomitanti possono essere molto impegnative, come il caso di questa signora di mezza età.

Marina è una signora di cinquantenne che si presenta nel mio studio perché vuole “imparare a mangiare meglio”. Dopo la menopausa, avvenuta 3 anni fa, ha progressivamente incrementato il suo peso e non è più riuscita a ritornare snella come prima. Durante il nostro colloquio si lamenta anche di un senso di stanchezza costante, in parte imputato a stress: la signora, oltre al lavoro di insegnante, spende il suo tempo ad accudire il padre anziano. Marina ha una struttura corporea esile con un discreto accumulo di tessuto adiposo attorno al punto vita e ai fianchi, una postura un po’ incurvata e il passo non molto spedito. Mi spiega che spesso le capita di assopirsi la sera davanti al televisore ma poi di non riuscire più ad avere una buona qualità di sonno quando finalmente si corica. Per questo motivo il suo umore è spesso variabile, con una certa tendenza al pessimismo. Questo stato d’animo è in parte concausa dell’aumento di peso, visto che per tirarsi su di morale mangia, durante la giornata e in particolare la sera, dolciumi, creme dolci e cioccolato al latte in quantità da lei definite “discrete”. Non pratica attività sportiva, neanche qualche salutare passeggiata perché si stanca abbastanza facilmente dopo pochi passi.

Prima di approfondire l’analisi alimentare le chiedo se assume delle medicine o se ha malattie o altri disturbi da segnalarmi.
A Marina è stata prescritta una preparazione a base di vitamina D a seguito di una diagnosi di iperparatiroidismo che, a quanto mi racconta, ha coinvolto due delle quattro paratiroidi.
Ma che cos'è l’iperparatiroidismo? L’iperparatiroidismo è una condizione morbosa che interessa le ghiandole paratiroidi. Queste sono 4 ghiandole situate nel collo a ridosso della tiroide. Sono ghiandole importanti perché la loro funzione è quella di controllare i livelli di calcio nel corpo grazie all'escrezione di un ormone chiamato paratormone. Il paratormone, abbreviato in PTH, ha la funzione di far uscire il calcio dalle ossa, ma anche di fare assorbire a livello intestinale il calcio che viene ingerito con il cibo. Inoltre influenza i reni aumentando la loro capacità di trattenere il calcio, che altrimenti andrebbe eliminato con le urine.
Le paratiroidi funzionano come un semaforo, regolando il traffico del calcio: quando questo è troppo basso, grazie alla azione del PTH, si normalizza. Se invece è troppo alto, allora il semaforo diventa rosso per il PTH, perché non c’è più necessità di aumentare i livelli di calcio circolante.

Sembra tutto molto semplice e ben orchestrato e lo è, ma quando interviene una condizione morbosa chiamata iperparatiroidismo, il traffico impazzisce. Nell’iperparatiroidismo si verifica un'iperattività di una o più ghiandole paratiroidi, che producono troppo PTH indipendentemente dalle richieste dell’organismo. Che cosa succede allora? I livelli del Calcio nel sangue aumentano, le ossa si indeboliscono perché perdono questo minerale, i reni che filtrano il sangue vengono intasati dal traffico di calcio e alla lunga possono formarsi calcoli e una sofferenza di tutto l’emuntorio renale. Ma non finisce qui, l'aumentato traffico di calcio influisce anche sul fosforo, altro minerale importante per la salute delle ossa e non solo.
Il fosforo viene eliminato più del dovuto dal rene e quindi una sua riduzione fa venire meno al suo ruolo di supporto per le ossa, in quanto si forma meno idrossiapatite, sostanza indispensabile per la struttura ossea, e le ossa diventano meno resistenti. Il fosforo inoltre attiva le funzioni base delle cellule del corpo ed è fondamentale per la loro vita.

In condizioni normali se i livelli di fosforo si alzano troppo interviene il paratormone che riduce questi valori a vantaggio del calcio. Calcio e fosforo sono quindi legati tra loro da un preciso rapporto e questo menage viene regolato proprio dal paratormone. Ricapitolando: nel caso di iperparatiroidismo non adeguatamente trattato il calcio è abnormemente elevato mentre il fosforo è molto ridotto, inoltre si perde calcio con le urine (in termini tecnici: calciuria).
Quando le paratiroidi funzionano troppo o male, ci si sente più stanchi e i muscoli, altra parte del corpo che è influenzata dal calcio, lavorano male, contribuendo al senso di affaticamento. Possono essere presenti disturbi dell’umore, la pressione arteriosa può alzarsi, inoltre se questa condizione persiste a lungo senza un adeguato trattamento, si possono sviluppare dei calcoli a livello renale. La cura di questa malattia è spesso chirurgica, con la eliminazione delle ghiandole mal funzionanti, ma se la situazione e il quadro clinico è ritenuto meno grave, si può tentare con il trattamento medico.

A Marina è stata prescritta la vitamina D in dosi elevate. Perché? In corso di iperparatiroidismo anche la vitamina D si riduce, perché il paratormone favorisce la sua degradazione a livello renale.
La vitamina D mantiene stabili i livelli di calcio e fosforo, favorisce l’assorbimento del calcio nell’intestino e l’assimilazione del fosforo necessario per la formazione delle ossa. Una supplementazione di vitamina D riduce il paratormone senza influenzare il calcio nel sangue o la sua escrezione a livello urinario.

Conoscere la situazione clinica di questa paziente aiuta nello stilare una dieta che sia non troppo ricca di calcio, normalizzando il suo rapporto con il fosforo, incrementando i livelli di vitamina D.
Buone fonti di questa vitamina sono i pesci e gli oli che essi contengono, in particolare pesci come sgombro, salmone, spada, tonno, trota, molluschi e crostacei. Anche l’uovo (soprattutto il tuorlo) è ricco di vitamina D.
Il fosforo è distribuito con generosità in natura: alimenti ricchi in fosforo sono i cereali integrali, la crusca di riso, i semi come quelli di zucca, girasole, lino e sesamo, i formaggi, in particolare il pecorino, caprino, gruviera e grana, la frutta secca come gli anacardi, pistacchi e noci; anche i legumi contengono un buon quantitativo di fosforo.
il calcio è ben rappresentato nei latticini, quindi latte, formaggi e yogurt, in tarassaco, rucola, basilico, negli sgombri, polpi, ostriche, gamberi e granchi, nei fagioli - in particolare i cannellini - nel cioccolato al latte e nelle mandorle.

Nella dieta di Marina ho quindi eliminato il latte vaccino e i latticini, mentre ho introdotto i cereali integrali, come il riso integrale, Venere e riso rosso, verdure e frutta con generosità, più porzioni di pesce e di carni bianche come pollo e tacchino, mentre le carni rosse sono state consigliate una sola volta la settimana, anche seguendo le preferenze alimentari della mia paziente. I legumi sono stati comunque integrati nella dieta, non più di due volte la settimana, infine le uova hanno trovato un loro posto come alternativa proteica.
Sto seguendo la mia paziente ormai da qualche mese, continua la terapia medica ed è sotto controllo da uno specialista per quanto riguarda il suo problema di base; dal punto di vista nutrizionale ha progressivamente ridotto i “punti critici”, ha iniziato a fare qualche piccolo esercizio fisico, come camminare ogni giorno per almeno mezzora, non si stanca più come una volta, si sente maggiormente ricca di energia, dorme meglio la notte e il tono dell’umore è contestualmente migliorato, segue il regime dietetico senza più “pasticciare” e ha abolito le abitudini dannose come quella di rimpinzarsi di dolci.

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